Una vita proiettata verso il prossimo, addirittura dall’altra parte del mondo, quella del nuovo Beato che sale agli onori degli altari oggi nella nativa Crema. Alla cerimonia, in rappresentanza del Santo Padre, il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, cardinale Angelo Becciu Roberta Barbi – Città del Vaticano
“Noi missionari non siamo davvero nulla. Il nostro è il più misterioso e meraviglioso lavoro. Vedere anime che si convertono: un miracolo più grande di ogni miracolo”. Scrive così, nel suo diario, un giovane Alfredo Cremonesi che ha da poco concretizzato la sua vocazione di partire missionario nel 1925, con una vitalità e un entusiasmo che non perderà mai, in nessuno dei giorni che comporranno i 28 anni passati in quella terra lontana, prima di esservi ucciso in odio alla fede, il 7 febbraio 1953. Eppure il percorso per arrivare fin laggiù non era stato facile: di salute cagionevole fin da piccolo, più volte, seppur frequenti un seminario missionario, viene scartato. E allora si dedica alle lettere: scrive poesie e perfino un dramma teatrale che ha per protagonista un missionario. Perché il suo sogno è sempre lì, nel suo cuore, che aspetta il momento giusto per realizzarsi. La devozione per Santa Teresina del Bambino Gesù Come ogni cristiano, Alfredo ha un’arma segreta: la preghiera, intensa, vera, che allieta ogni attimo libero della sua giornata; ben presto scopre di avere anche un’alleata potente, lassù, in cielo: S. Teresa del Bambino Gesù. La invoca quando è malato di linfatismo e lei lo guarisce; inoltre lo aiuterà più volte anche in Birmania, come egli stesso testimonierà. “È interessante accomunare padre Alfredo Cremonesi con Santa Teresa del Bambino Gesù – sottolinea il cardinale Angelo Becciu – perché tutti e due hanno la passione per le missioni. Sappiamo che Santa Teresa è stata anche proclamata Patrona delle missioni: lei, rinchiusa in monastero, aveva però questo desiderio di diffondere Gesù nel mondo intero”. Un sogno chiamato Birmania Il sogno inizia a Napoli, il 16 ottobre 1925. Alfredo si imbarca sulla nave che lo porterà in Birmania, una terra che più remota e lontana non poteva immaginarne, destinazione Taungngu, a lavorare tra i Karennì, la popolazione dei Cariani rossi. Non sa che ci rimarrà per 28 anni, ma è determinato a non rimettere più piede in patria, quindi prima di salpare saluta i suoi genitori per l’ultima volta con una formula comune a molti missionari: “Ci vedremo in Paradiso!”. Una scelta radicale, la sua, che ci viene spiegata dal porporato: “Una volta partiti, i missionari di allora, non tornavano più o se lo facevano era dopo molti anni. Erano uomini di Dio, persone che credevano! Avevano dato la loro vita per la diffusione del Vangelo! Perciò se in Africa o in Asia o in altri posti abbiamo dei cristiani lo dobbiamo al sacrificio di questi uomini così generosi”. La miseria della guerra… Dopo un’esperienza a Yedashé, nello Yoma occidentale dove predica tra le popolazioni pagane ottenendo molte vocazioni, padre Cremonesi viene trasferito a Donoku. Intanto scoppia la Seconda Guerra Mondiale, che presto, con la sua violenza e la sua miseria, arriverà anche qui, sovrapponendosi a una situazione già di povertà e precarietà. Per anni, come si legge nel diario del sacerdote, mancheranno a tutti il pane, lo zucchero, ma ancora di più le strade per arrivare nei villaggi più sperduti, e la libertà di poter diffondere la Parola senza rischiare la vita ogni giorno. Il “moto perpetuo” - come era soprannominato padre Cremonesi - sarà sfiancato dalla fatica e dalla malaria, ma non rinuncerà mai alla sua missione, anche quando, con l’entrata in guerra dell’Italia accanto alla Germania, è visto come un nemico e rischia di essere internato in India. Viene, invece, spostato a Moshò, nel nord del Paese, dove soffre il freddo e la fame accanto a quella che considera ormai la sua gente. … e la crudeltà dell’altra guerra Nel 1948 la guerra finisce e la Birmania ottiene l’indipendenza dall'Inghilterra. Ma un altro conflitto è in agguato, ancora più duro. I contrasti tra i gruppi etnici meno rappresentati nel nuovo Parlamento sfociano presto in una guerra aperta e fratricida in cui sono coinvolti soprattutto Cariani e Birmani. Donoku viene assalita dai ribelli e padre Cremonesi è costretto a riparare nella foresta. Tornerà due anni dopo, ma la pace è ancora soltanto un miraggio in questa terra martoriata dove non è rimasto più niente da saccheggiare, niente da rubare. Eppure i governativi fanno di nuovo irruzione nella cittadina. Sono a caccia di ribelli, ma è di sangue che hanno sete. Padre Cremonesi sembra calmarli, ma quando decidono di ritirarsi, cadono in un’imboscata e tornano indietro, accecati dall'odio e dalla vendetta. Padre Cremonesi è uno dei primi a cadere. Perché è straniero, ma soprattutto perché è cristiano. Gli sparano in faccia, con furia, poi devastano la chiesa e incendiano la missione. Martire della fede I testimoni parlano di una violenza inaudita degli assassini di padre Cremonesi, che quel giorno a Donoku fanno una vera e propria strage. Il sacerdote viene raggiunto dai colpi di fucile mentre prega. L’indomani, quando la situazione si sarà calmata, alcuni fedeli ne prenderanno il corpo per seppellirlo, tagliandogli un po’ di barba e qualche frammento della camicia intrisa di sangue da spedire ai genitori in Italia, ma anche da conservare come reliquia. Sì, perché per la sua gente, quella gente con cui padre Cremonesi ha condiviso tutto: speranze, gioie, ma anche amarezze e dolori o pericoli, lui è già un martire e la forza dei martiri è così potente da poter essere riconosciuta immediatamente da tutti, come conclude il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi: “L’intuizione della gente sa riconoscere i bravi preti, le brave religiose, i buoni laici, e soprattutto sa riconoscere chi si dedica e si dona totalmente agli altri. E padre Cremonesi era uno di questi”. Alla vigilia della Giornata Missionaria Mondiale che ricorre il 20 ottobre, presso la cattedrale di Crema si celebra la beatificazione di padre Alfredo Cremonesi, testimone instancabile della fede in Myanmar Chiara Colotti - Città del Vaticano Ucciso il 7 febbraio del 1953, nell’odierno Myanmar, padre Alfredo Cremonesi dedicò la sua vita alla missione. “Se nascessi mille volte, - scriveva - mille volte tornerei in missione”. Padre Cremonesi verrà beatificato domani, nel corso della Santa Messa presieduta dal cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, presso la Cattedrale di Crema. “Abbiamo fatto di tutto affinché la beatificazione cadesse in questa data inserendosi nel Mese Missionario Straordinario”, rivela il vescovo di Crema, monsignor Daniele Gianotti, qualche istante prima dell’intervista. Un missionario tutto d’un pezzo“Padre Cremonesi - spiega monsignor Gianotti - partì nel 1925 sapendo già che non avrebbe più fatto ritorno in Italia e così fu”. Missionario del Pime a Donokù, un villaggio del Myanmar, padre Cremonesi dedicò la sua vita al prossimo “con la chiara volontà di portare il Vangelo e di testimoniarlo nella piena devozione agli altri e nella carità senza limiti.” In una realtà difficile, in una terra abitata da centinaia di etnie differenti, in cui la diversità è, ed è stata, fonte di conflittualità, la missione ha portato luce e speranza. In mezzo ai conflitti che caratterizzarono il Paese asiatico all’indomani della Seconda guerra mondiale, padre Cremonesi fu un uomo di pace e di dialogo. “La sua morte - racconta monsignor Gianotti - è stata particolarmente dolorosa perché venne ucciso proprio mentre cercava di compiere l’opera di riconciliazione tra le varie etnie della regione”. Il "sorriso della missione"Padre Cremonesi era conosciuto da tutti come il “sorriso della missione”. Veniva anche chiamato il “moto perpetuo” proprio per la sua inquietudine e passione nell’annunciare il Vangelo. Caratteristiche, queste, intrinseche dell’animo missionario. La volontà di stare in mezzo alla gente e di incontrare l’altro erano, in particolare, i tratti salienti della sua personalità. “Nel corso della guerra civile, quando fu costretto ad abbandonare il villaggio di Donokù, provò un grande dolore proprio perché dovette lasciare la sua gente, non potendo così supportarla nelle loro difficoltà”, prosegue il vescovo di Crema. “Questo esilio è peggiore della morte." (Padre Alfredo Cremonesi) In occasione della beatificazione di Cremonesi, monsignor Gianotti vuole ricordare un altro missionario cremonese: padre Pier Luigi Maccalli, rapito in Niger il 17 settembre del 2018. Un grande uomo di fede, completamente immerso nella povertà, nelle tribolazioni e nelle fatiche del suo popolo. “Queste due vicende, l'uccisione di Cremonesi e il rapimento di Maccalli, si intrecciano proprio per dirci che la missione è ancora oggi una frontiera difficile, impegnativa - prosegue il vescovo - , ma anche affascinante e portatrice di tutto ciò che il Vangelo può regalare in termini di vita buona, di speranza, di condivisione e di carità, tutti segni eloquenti di Gesù Cristo e del Suo Vangelo.” Padre Cremonesi ha incarnato tutto questo, nel suo tempo e con lo stile missionario che lo contraddistingueva, tanti altri missionari oggi lo stanno ancora facendo a tutte le latitudini. “ Gesù lo ha detto ai discepoli di allora e lo dice a noi: Andate! Annunciate! La gioia del Vangelo si sperimenta, si conosce e si vive solo donandola, donandosi. (Papa Francesco) ” Fonte: https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-10/padre-alfredo-cremonesi-beatificazione.html
Quest'anno ha avuto luogo per la seconda volta un'esperienza di incontro tra studenti e professori della scuola teologica missionaria del Pime. L’incontro si è tenuto il 09 ottobre nel salone del Seminario Teologico Internazionale del Pime a Monza, hanno partecipato dodici professori venuti per conoscere meglio gli studenti, le loro realtà di formazione e il contesto da cui provengono. Nella mattinata, ogni classe si è presentata ai professori attraverso i suoi rappresentanti, illustrando le diversità culturali e la modalità di studio nei paesi d'origine, sottolineandone le sfide in un contesto diverso, a partire dalla lingua straniera. Anche i professori hanno avuto l’opportunità di presentarsi e farsi conoscere meglio, principalmente i docenti che per il primo anno collaborano con il PIME, come le professoresse Elisabetta Nova e Lena Residori, e i professori Alberto Caccaro e Alberto D’Inca. La scuola ha un corpo docente composto da 29 professori, è frequentata da 65 studenti regolari provenienti da 12 paesi diversi; la maggior parte di questi studenti fa parte del Pime, ma frequentano la scuola anche tre studenti della Società San Paolo, due monaci olivetani di Brescia, una monaca di clausura; sono presenti, inoltre, diversi uditori e uditrici esterni. L’incontro con gli studenti si è concluso con la messa, celebrata dal vicario generale del Pime padre Fabio Motta, e concelebrata dai professori che sono sacerdoti. La messa è stata anche l'occasione di salutare padre Alessandro Maraschi, che è stato studente della scuola e oggi si prepara per partire per la sua missione in Messico: oltre a conoscere gli attuali studenti, i professori hanno quindi avuto l’opportunità di condividere un importante momento di vita del PIME. Dopo il pranzo i professori hanno avuto un momento di valutazione e informazione sull'anno 2019-2020 con il preside della scuola teologica, p. Gianni Criveller. Nel 12 ottobre si commemora la Festa della patrona del Brasile, “Nossa Senhora da Conceição Aparecida” (in italiano Nostra Signora della Concezione Apparsa). Quest’anno, i seminaristi brasiliani insieme ai formatori che sono stati in missioni in Brasile hanno condiviso con tutta la comunità del seminario teologico internazionale del Pime l’ “allegria” che portano nel loro cuore verde e giallo. La statua della madonna è stata ritrovata da tre pescatori nell’anno di 1717. Loro pescavano nel fiume Paraíba e dopo alcuni tentativi infruttuosi, gettarono le reti e trovarono una piccola statua di terracotta raffigurante la Madonna, priva però della testa. Gettarono nuovamente la rete e questa volta vi trovò la testa della statua. In seguito i tre pescatori gettarono ancora le reti per la terza volta e queste si sarebbero riempite di pesci. Per 15 anni la statua rimase nella casa dei pescatori, dove i vicini si riunivano per pregare il rosario. La devozione si diffuse in tutto il Brasile e vari fedeli, che avevano pregato davanti alla statua, affermarono di aver ricevuto delle varie grazie. Pur non essendo stata ancora riconosciuta ufficialmente, nel 1936 è dichiarata da papa Pio XI patrona principale del Brasile. La Basilica Minori di Nostra Signora di Aparecida viene consacrata da papa Giovanni Paolo II nel 1980. E il più grande santuario mariano del mondo e si trova nella città di Aparecida, nello stato di San Paolo. La festa in seminario è iniziata al mattino con la celebrazione della Santa Messa in onore alla madonna, presieduta da p. Robert Mathew (missionario a Manaus, Brasile) e concelebrata da p. Giuseppe Marchesi (missionario a Macapá, Brasile) e da p. Raffaele Manenti (missionario in Thailandia) con canti brasiliani e oggetti caratteristici del popolo brasiliano, ricordando in speciali i popoli nativi dell’Amazzonia per occasione del Sinodo per l’Amazzonia. Per la celebrazione sono state invitate anche le suore brasiliane del Preziosissimo Sangue e delle Missionarie dell’Immacolata. Al pomeriggio abbiamo mangiato una buonissima “feijoada” con bevanda e dolci brasiliani fata dai seminaristi. |
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Gennaio 2023
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