Seminario Teologico Internazionale PIME
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​Riconoscersi “Fratelli Tutti”

14/12/2020

 
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Questo tempo così difficile e sospeso della pandemia, che sta portando tanta sofferenza e tanta fatica, ha posto e ci pone molte domande di senso circa il dolore, la morte, la vita, Dio…
Penso che queste domande concrete, della vita, ci possano aiutare anche a parlare delle cose di Dio e dello Spirito in una maniera più autentica, vera e normale.
  È sempre difficile di fronte al dolore e alla sofferenza trovare delle risposte adeguate, pertanto spesso gli interrogativi rimangono senza risposta. Credo però che queste domande di senso possano essere l’occasione per cercare di trovare insieme delle risposte: io credente, io non credente, io di un’altra religione, io dell’Est, io dell’Ovest e così via.
  Il dialogo, l’incontro, l’ascolto, l’attenzione verso l’altro, sono alcuni dei temi che emergono nell’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti.
La fraternità che ci propone il Papa forse è il vero modo per sconfiggere la pandemia. Ovvero se la pandemia è un male universalizzato, la fraternità universale universalizza il bene. La solidarietà, infatti, cambia la vita degli uomini. E cambia la storia.
   Crediamo che il ben-essere sia salvare se stessi. È un inganno. Siamo talmente deformati dall’individualismo e da questa concezione da non riconoscerci tutti fratelli, dono gli uni per gli altri. 
  Il cristianesimo non è un fatto intimistico, individuale, privatistico. Gesù ha pregato dicendo Padre “nostro”. Ha parlato di fratelli: «…miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21). Ha parlato di famiglia: «Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli!”» (Mc 3,34).
  La verifica del nostro incontro e del nostro amore verso il Signore sta nel riconoscerlo e amarlo nei fratelli. Non ti occupi del Padre eterno se non ti occupi del prossimo. E credo che, chi ama il prossimo incontrerà, magari anche non volendo, il Padre eterno.  
 Non dimentichiamoci che la dimensione familiare e fraterna sarà l’unità futura nel Regno di Dio: un’unità che, tuttavia, deve iniziare già quaggiù.
  Non è un discorso morale quello di Gesù: la responsabilità verso l’altro non è un problema di morale, o di non essere generosi. È un fatto di amore. Scoprire che l’altro è mio fratello, che l’altro è un dono, vuol dire trovare un senso e un motivo di vita, di gioia, qualcosa di bello.
Spesso riduciamo l’amore per il prossimo a un gesto altruistico, ma l’amore verso il prossimo ti fa scoprire anche chi sei veramente. 
   Amare non è un dovere, ma una necessità per vivere, se vuoi essere te stesso, te stessa, se vuoi capire chi sei, se vuoi conoscere la tua identità, la tua appartenenza. Alle risposte sulle domande di senso, esistenziali, non ci si arriva solo con la ragione o con l’intelligenza. Ci si arriva anche con il cuore.  
  Questo è l’unico modo per star bene (non in termini morali). Forse, come cristiani, questa gioia, questa felicità, questa bellezza dell’incontro, dell’amore per il prossimo le testimoniamo ancora troppo poco. 
  Spesso siamo convinti che la gioia sia un sentimento dell’animo, sia dentro di noi, sia una cosa nostra, per cui solo in certi momenti la possediamo, ma abbiamo il timore di perderla o di diminuirla: la gioia e la pace sono invece esterne a noi, sono una realtà, o meglio, sono una persona che vive di fronte a noi. 
    Quando Gesù, infatti, dopo la resurrezione entrò nel cenacolo, offrì la pace agli apostoli perché si era reso loro presente: è lui la pace.
Il Signore, però, si manifesta in tutto e in tutti, e i miei incontri con le cose, con gli avvenimenti, con le persone, diventano la mia gioia, perché sono la realtà e la verità concreta.
   Non è importante allora lo stato d’animo, ma la risposta che diamo alla realtà che ci sta di fronte. 
La relazione, la fede, l’amicizia con Dio va manifestata con i fratelli e con tutto il Creato. Già nelle prime pagine del libro della Genesi è evidente questo triplice rapporto: la rottura con uno di questi significa la rottura anche con gli altri due. Adamo, disubbidendo a Dio, si è trovato in contrasto col Creato e in difficoltà con Eva, il suo prossimo.
  L’unità che Gesù è venuto a portare si riferisce contemporaneamente a tutti e tre. Per questo motivo non esiste opposizione tra amore di Dio e amore del prossimo, ma sono una stessa cosa, perché esiste un unico amore, uno è dentro all’altro: quello di Gesù verso il Padre che trascina quello di tutti i suoi fratelli.
 In genere, ci accorgiamo nelle situazioni di emergenza che il fare comunità è una delle cose di cui abbiamo più bisogno. Ma questa dovrebbe essere una dimensione ordinaria, non straordinaria, e la Chiesa dovrebbe essere questo telaio in cui tutti quanti i fili riescono a trovare un po' il senso.
   Il virus ci ha permesso di avere uno sguardo più globale, vedere quanto siamo interconnessi.
Non è vero che ognuno fa per conto suo, e che ognuno pensa a se stesso. Tutto esiste insieme e tutti ci influenziamo l’un l’altro. Non possiamo fare senza gli altri, e ogni volta che rifiutiamo qualcuno, ci mancherà un pezzo di noi; lo sentiremo come qualcosa che dovevamo avere e che non abbiamo più.
   Da qui l’ambizione grande che tutti possano essere fratelli (e sorelle), nessuno escluso. Pensare che tutti lo siano ed esserlo per tutti. Cominciando da me stesso, non aspettando che cominci l’altro. Io comincio a essere fratello di tutti.
   Il camminare insieme è una risposta concreta, una proposta, un’indicazione. Significa anche non abbandonare nessuno, non rifiutare nessuno. 
Per questo è necessaria una disposizione d’animo molto profonda, un’amorosa presenza a tutte le cose, a tutti gli uomini, agli avvenimenti, per scoprire in essi la presenza dello Spirito. 
    Allora sapremo vedere anche in un musulmano l’attenzione al mistero di Dio, la preghiera intima, la capacità di spendere del tempo per il Signore; o in un ortodosso la grande coscienza della preghiera liturgica delle comunità ecclesiali; nel buddhista la relatività della vita umana e la certezza in quella futura, come pure la fine di questa, più vicina di quanto non ci possa sembrare; in un africano il concetto di famiglia allargata, così differente dal nostro, ristretto solo ad alcune persone; in tutti i poveri, infine, il considerare come cosa normale che si divida o condivida il pane.  
   Questa è la famiglia nuova di Gesù; a questo egli vuole prepararci; questo ci vuole richiamare. Per costruire tale mentalità, per convertirci a questa «famiglia di Gesù», è necessario avere come sottofondo una fraternità con tutti: con la persona che sale in autobus e non ha due euro per cui le offriamo il biglietto; con lo sconosciuto che aiutiamo a trasportare la valigia in treno; con chi chiede il posto prima di noi perché ha fretta, in una lunga fila d’attesa; con chi in auto vuole la precedenza anche se non ne avrebbe diritto; col cameriere che fa attendere molto tempo prima di servire il pranzo; coi familiari che pretendono tutto da noi e d'ogni pretesa ne fanno un diritto.
La fraternità autentica dona e anche chiede; in questo scambio, anche chi si sente solo, quasi finito, ormai fallito, può ritrovare fiducia e stima in se stesso. 
   Simile relazione non pone orari nell'incontro con l’altro, non ha preferenze, se non per riuscire meglio a donarsi a tutti gli altri.
Gesù a Zaccheo ha chiesto solamente un atto di amicizia: mangiare in casa sua. Alla samaritana ha chiesto una gentilezza, un bicchiere d'acqua; ai primi due discepoli, Andrea e Giovanni, ha chiesto solo di rimanere a parlare con lui; a tanti infelici ha donato solo quanto domandavano: la vista, il pane, la parola, la vita.
  Il buon samaritano non chiede come ricompensa al ferito di cui ha cura una conversazione, l'adesione alla sua idea: gli è sufficiente fare incontrare quest'uomo con l'amore.
    La carità è, da sempre, un incontrarsi con Dio. La disponibilità e l'amore rispettoso portano sempre a lui e nulla v'è da aggiungere, perché in essa v'è amicizia, v'è fraternità. 

                                                                                                                                                           P. Mauro Pazzi

PREGHIERA PER LE VOCAZIONI MISSIONARIE - DICEMBRE 2020

2/12/2020

 
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LA CHIAMATA DI MARIA

 
Dal Vangelo Secondo Luca (Lc 1,26-38)
26 Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: "Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te".
29 A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30 L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine".
34 Allora Maria disse all'angelo: "Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?". 35 Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36 Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37 nulla è impossibile a Dio". 38 Allora Maria disse: "Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola". E l'angelo si allontanò da lei.
Riflessione
In questa scena dell’annunciazione avviene un dialogo tra la grazia di Dio, rappresentata dall’arcangelo Gabriele, e la libertà umana, rappresentata dalla vergine Maria. Ella a nome di tutti noi, con timore, trova il coraggio di intessere una conversazione.
Cercando di capire cosa può aver pensato Maria in quel momento, immaginiamo che le parole dell’angelo debbano aver turbato tutta la sua vita, i suoi sogni nel fiore della giovinezza, il matrimonio oramai prossimo con Giuseppe, il suo sentirsi piccola, inadeguata, troppo giovane…  Quell’incontro la porta dentro nuovi orizzonti, nei quali ripensare in modo completamente nuovo la propria vita. 
Maria nella sua umiltà si fida e si affida, e aiuta anche noi a farlo perché Dio faccia tutto ciò che vuole della nostra vita. A lui affidiamo i nostri desideri, le nostre gioie, i sogni, ma anche le difficoltà, le sofferenze, i momenti più dolorosi, le preoccupazioni, le sfide, i progetti, il futuro in questo momento di pandemia globale… e tutto ciò che abbiamo nel cuore. 
Come Maria, nella nostra conversazione con Dio, ne sentiamo la vicinanza, Egli è in mezzo a noi, e possiamo avere la speranza e la fiducia che quanto Lui, nostro Padre celeste, ci chiede è proprio ciò di cui abbiamo bisogno oggi.

​PREGHIERA

 
Signore Gesù, ti preghiamo,
apri il nostro cuore
perché sia come quello di Maria, tua Madre,
che ha accolto la chiamata del Padre ad essere Madre di tutti.
Riscalda il nostro cuore
perché sia come quello di Maria, che ha offerto tutto se stessa,
in umiltà e obbedienza.
Nei momenti in cui ci sentiamo senza speranza, e viene meno la voglia di andare avanti,
nei momenti in cui siamo deboli, sotto il peso delle tribolazioni e delle preoccupazioni,
donaci serenità e pace
così che possiamo vivere in fraternità, gli uni con gli altri.
Rafforza la nostra volontà ad amare il tuo volere,
aiutaci a superare quell’egoismo che ci porta a mettere davanti i nostri progetti.
Donaci pazienza e amore
perché ci aiutino ad accogliere la tua chiamata ad essere tuoi inviati nel mondo.
Tu, che sei l'unico Signore.
Amen
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Giornata Missionaria Mondiale 2020

23/10/2020

 
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Strumenti di animazione per l’Ottobre missionario 2020

VEGLIA MISSIONARIA

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ECCOMI, MANDA ME !

Tessitori di fraternità

​realizzata dalla comunità del seminario P.I.M.E. di Monza


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Conferimento del ministero del lettorato 2020

1/5/2020

 
Il ministero del lettorato era considerato un ordine sacro minore che precedeva l’accolitato e poi il diaconato, riservato ai soli maschi adulti che si preparavano al sacerdozio. Con il passare del tempo il suo significato è cambiato, ed è diventato “ministero istituito del lettorato”, un ministero laico che aiuta il candidato al presbiterato a prepararsi meglio al compito dell’annuncio della parola (cfr can. 230 § 1). Nella liturgia, infatti, la sacra scrittura ottiene un’importanza capitale perché aiuta il credente a contemplare l’agire salvifico di Dio, e in essa (sacra scrittura) vengono scelte le letture (la parola di Dio), alcune proclamate dal lettore istituito durante le celebrazioni eucaristiche (prima lettura, salmo e seconda lettura), mentre compete al  diacono e al presbitero l’annuncio del vangelo.
Noi in quanto gruppo, costituito da 19 studenti, che si apprestano a ricevere questo ministero del lettorato ci siamo preparati in modo adeguato per meglio servire la parola di Dio. Questa preparazione avviene attraverso l’intima relazione con la parola fondata sulla lectio divina. Infatti, la lectio divina ci ha permesso di scoprire la vera importanza della parola, che ci permette di fare crescere la nostra amicizia con il Signore e di contemplare Dio nella sua infinita bontà. Perciò il gruppo è stato accompagnato e sostenuto da questa parola: “ Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (cfr Sal 119,105) che indica il nostro appoggio sulla parola divina che è ormai diventata la nostra guida sicura, che illumina il nostro cammino, per cui niente potrà abbatterci. E in questa dinamica che ci stiamo preparando perché il nostro servizio liturgico sia coerente attraverso la proclamazione o la spiegazione della parola divina nella catechesi o nelle altre attività evangelizzatrici. 
                                                                                   
​                                                                                 Gabriel Alberto Djata

Pasqua: "Dio fa gol in zona Cesarini"

11/4/2020

 
       In questo sabato Santo, il bel tempo, la luce, la primavera che parla di vita non possono che entrare in contrasto con l’odore di morte che esala dalle notizie dei giornali, il rumore di pianto che viene da tante case isolate che hanno ricevuto una notizia nefasta. La divisione minacciosa ancor più della morte sembra allargare quelle distanze che per zelo abbiamo imposto tra di noi. Sono in gioco forze avverse e controverse.
       Come celebrare questa sera la resurrezione del Signore isolati chiusi nelle nostre case, senza gli abbracci di una comunità, gli scherzi e le battute degli amici lo squillare delle campane agitate da bambini? Oppure - per chi non crede - come non reagire con cinismo alla sfacciataggine di chi ha il coraggio di parlare di vita eterna davanti alla morte quotidiana?
Sembra impossibile tenere insieme tutti e tutto. Anzi sembra incredibile!
      Forse secoli di celebrazioni e parole sulla Pasqua ci hanno “spoilerato” il finale (e il fine) della vicenda di Gesù e il nostro cuore un po’ disorientato si è abituato all’infinito. Lo spoiler – per cui oggi i lettori e cinefili riservano un girone dell’inferno – ci ha sottratto la forza dello stupore, di ciò che non era possibile immaginare. Ma la realtà ci ripropone in negativo l’inimmaginabile: una pandemia, noi sedicenti liberi, chiusi in casa. In un dialogo con un’amica, questa raccontava divertita come alle scuole superiori una sua compagna di classe avesse chiesto uno spoiler sul finale di un film di Mel Gibson: “La passione di Cristo”. Un compagno sagace rispose “Lui muore ma non è come sembra”.
      Sarebbe bello avere una memoria vergine come quella di quella ragazza: vergine dal catechismo, dai pregiudizi, dalle testimonianze negative, dai preconcetti e guardare in faccia una volta nella vita la Good News. La lieta notizia. Contro ogni spoiler, quando il finale sembra già scritto. Come un famoso giocatore che ha dato il nome a un altrettanto famoso modo di dire : “Dio fa gol in zona Cesarini”. Cesarini è un giocatore che nella prima metà degli anni ‘30 evoluì in Italia per la Juventus e si distinse nel segnare diversi gol negli ultimi minuti di una partita. Quei minuti diventarono la “zona Cesarini”. Il giocatore capace di cambiare i destini di una partita quando tutto sembrava compromesso. Il boato del recupero, l’entusiasmo incontenibile di chi pensava di aver perso tutto e invece si ritrova con la coppa in mano, senza riuscire a crederci neppure lui. Sportivamente parlando è più che una vittoria, è una “Remuntada”. La storia che cambia direzione. La gioia è maggiore, straripante.
         Se guardiamo nelle nostre vita forse riusciremo noi a scorgere qualche gol in zona Cesarini che la vita ci ha riservato. Non esiste spoiler che tenga! Nella storia dell’uomo, di tutti gli uomini c’è sempre un’inversione a U impronosticabile.
      Dio fa gol in zona Cesarini. Quando tutto era perso quando tutto era sconfitto quando tutto era da buttare e la rabbia l’illusione si erano impadroniti di noi. Dio entra in campo nella zona Cesarini, anche se lo avevamo lasciato in panchina. Siamo noi che però dobbiamo lasciargli l’occasione di fornirci l’assist

Buona Pasqua di resurrezione a tutti:
a chi ci crede,
a chi no ma ci spera,
e a chi a smesso di sperarci.
Affinché tutti possiamo fare un’esperienza di Resurrezione
 
                                                                                                                                                                                                      Diacono Ivan Straface
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