Seminario Teologico Internazionale PIME
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PREGHIERA VOCAZIONALE MISSIONARIA DEL MESE DI MARZO - 2021

5/3/2021

 
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LA CHIAMATA DI SAN GIUSEPPE
Dal Vangelo secondo Matteo: Mt 1,18-25
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18 Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20 Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21 ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati". 22 Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24 Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; 25 senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.

                                RIFLESSIONE

SAN GIUSEPPE, UOMO "DEI SOGNI", OBBEDIENTE ALLA VOLONTÀ DI DIO E CAPACE DI PRENDERSI CURA

Nel Vangelo la figura di san Giuseppe è caratterizzata da tre aspetti tra loro intrecciati: Giuseppe è l’uomo dei sogni, è l’obbediente che accoglie integralmente la volontà di Dio, è l’uomo che sa “prendere con sé”, cioè sa prendersi davvero cura delle persone affidategli. Giuseppe è l’uomo che accoglie il sogno di Dio, perché in qualche modo sa egli stesso sognare una storia in cui Dio è coinvolto totalmente per la salvezza delle sue creature, così come suggerisce anche il nome di Salvatore-Gesù dato a quel bambino. Agli ordini angelici Giuseppe obbedisce sempre prontamente e ogni volta ricorre un’espressione assai suggestiva circa la sua pronta risposta: “prese con sé”. La prima volta è al termine dell’annunciazione di cui egli è il destinatario: “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”.  Successivamente, il “prendere con sé” riguarda l’ordine angelico circa il bambino e la madre da far riparare in Egitto; infine, la stessa espressione ricorre quando si tratta di ritornare dall’Egitto. In tutto ciò emerge il ritratto di Giuseppe come di un uomo che ha scoperto l’amore divino per questa umanità, e che ha esperimentato la serietà della decisione di Dio di essere l’“Emmanuele”. È da questa evidenza intima che procede la sua forza di prendersi cura e di accogliere con sé Maria e il bambino.
 
Gianfranco Ravasi
Cardinale arcivescovo e biblista
 

                                      Preghiera

O glorioso, San Giuseppe, patrono della santa Chiesa, noi ti preghiamo con insistente fiducia: Accogli le preghiere che a te innalza la Chiesa per ottenere buoni e santi seminaristi, buoni e santi operai per la mistica messe. O caro Santo, per amore di Gesù e di Maria, degnati di esaudire questo ardente desiderio che è conforme ai desideri del Cuore santissimo di Gesù. Arricchisci la Chiesa concedendo numerosi seminaristi a tutte le diocesi, congregazioni religiose e istituti missionari. Assisti i seminaristi affinché crescano nella pietà, nello studio, nell'umiltà, nell'obbedienza, nella purezza, nel fervore, siano distaccati dalle cose terrene, e pieni di amore per Gesù e di zelo per la sua gloria. Amen

Pray for Myanmar

20/2/2021

 
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                                        MYANMAR   
                     A knife in the back of freedom in Myanmar and Hong Kong

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An immense tragedy is unfolding in Myanmar. More people, including young women and men, are killed by police and military violence. After Hong Kong, another popular movement is suppressed. Evil is prevailing: our world and our age are not for freedom.
A knife in the back of freedom in Myanmar and Hong Kong: my commentary for Ucanews.

www.ucanews.com/country/myanmar/31

The recent images of popular resistance to the military coup in Myanmar have a great evocative power. They make me think of Hong Kong and its sad fate.
In the last few days, 47 people peacefully committed to the freedom and democracy of Hong Kong have gone on trial for subversion. The accusations are an obvious pretext, and the accused are humiliated with interminable court hearings designed to send shivers of fear to the people.
The suppression of the Hong Kong popular movement, the arrest of democratic parliamentarians, the cancellation of elections and the use of the pandemic to impose liberticidal laws in the name of national security were like a signal: it can be done. The world does not look.
On Feb. 1, Myanmar’s military, having secured the support of neighboring China, suspended the elections won by Aung San Suu Kyi's National League for Democracy party last November and imposed martial law for the third time in recent history.
A country that was moving toward a more democratic future, not without difficulty, is now turning back. Many young people — desperate — are ready to die rather than have their lives ruled by the military.
The army in Myanmar is something different from those of other countries: it is a huge, omnipresent, omnipotent and very rich organization. Its barracks are gigantic properties, cities within cities, located in city centers and border areas, from which they control all border issues, migration and trafficking, legal or not. How was it possible for critics of the previous civilian government to imagine that it would be easy to bring the functions of the army back into the context of democratic governance?
Cruel military leaders send out soldiers night and day to snatch opponents from their homes. In the meantime, they have released more than 20,000 prisoners to vacate jails for peaceful demonstrators. Released common criminals are incited and paid to cause violence and disorder, destroy or set houses on fire. They are allowed even to wound and kill with long sharp knives or stones and slings. I have seen terrible photos that testify to these crimes. Dozens of people have been killed.
Meanwhile, detained civilian leader Suu Kyi is accused of the very serious crime of possessing two-way radios.
PIME missionaries have been evangelizing in Myanmar since 1868, including some of our best missionaries: Felice Tantardini, Blessed Clemente Vismara, Alfredo Cremonesi, Paolo Manna and Blessed Mario Vergara, the latter beatified with his catechist Isidoro Ngei Ko Lat. Since 2018, I have been going to Taunggyi, capital of Shan state, every year to teach in the training program of diocesan seminaries. A wonderful country, you love it as you know it.
Myanmar is a land of Buddhist faith, with many monks on the front line to defend freedom. Catholics march next to them in street protests. The photos of faithful, nuns and priests marching with rosaries and placards in their hands recall similar participation in popular protests in Manila in 1986, Seoul in 1987 and Hong Kong in 1989, 2003, 2014, 2019 and 2020.
The photo (above) of nun Ann Rosa Nu Tawng of the Sisters of St. Francis Xavier kneeling on Feb. 28 before armed policemen in Myitkyina, Kachin state, speaks for itself. It recalls the famous snapshot of the unknown Tank Man who, on June 5, 1989, stopped a column of tanks in Tiananmen Square in Chinese capital Beijing.
Pope Francis’ recent encyclical Fratelli tutti (All Brothers) praises popular movements as capable of producing the political conversion that humanity needs. But these movements already exist, not only in pontifical documents but in real life. I have seen them in place in Hong Kong and Myanmar — peaceful movements of people promoting freedom and participation in building the social community.
It is disconcerting that the dignity of these movements is not recognized. Yet Catholics have a leading role. Think of Sister Ann Rosa or young Agnes Chow, now in prison in Hong Kong. They took their Christian vocation seriously: we are daughters and sons of God, baptized in the image of Christ, the author of freedom.
The courage and willingness to give their lives by the people of Myanmar, including courageous brothers and sisters in faith, and likewise of Hong Kong's democratic activists, are a testament to the preeminence of human dignity and conscience over political and military oppression and violence. Unfortunately, as we know, amid the perplexing prudence and silence of too many, these beloved brothers and sisters of ours will go through suffering and meet defeat.


        Myanmar e Hong Kong
                     popolo, resistenza e repressione 

Myanmar e Hong Kong: immagini di popolo, di resistenza e di repressione (articolo pubblicato oggi tre marzo su Mondo e Missione 
​https://www.mondoemissione.it/.../myanmar-e-hong-kong.../
Le immagini dei giorni scorsi della resistenza popolare al colpo di stato militare in Myanmar hanno una grande potenza evocativa.
Mi fanno pensare a Hong Kong e al suo triste destino, dove, in questi giorni, 47 persone impegnate pacificamente per la libertà e la democrazia della loro città, sono sotto processo per sovversione. Accusati pretestuosamente, vengono umiliati con interminabili udienze in corte, atte a inviare brividi di paura alla gente.
La soppressione del movimento popolare di Hong Kong, l’arresto dei parlamentari democratici, la cancellazione delle elezioni, l’utilizzo della pandemia per imporre leggi liberticide in nome della sicurezza nazionale sono state come un segnale: si può fare. Il mondo non guarda.
I militari del Myanmar, lo scorso primo febbraio, assicuratesi l’appoggio e il sostegno fattivo della vicina Cina, hanno sospeso le elezioni vinte dal partito di Aung San Suu Kyi del novembre 2020, e hanno imposto per la terza volta nella storia recente, la legge marziale. Un paese che stava incamminandosi non senza fatica verso un futuro, sta ora tornando indietro. Molti giovani -disperati- sono pronti a morire piuttosto che la loro vita sia soggetta ai militari. L’esercito in Myanmar è qualcosa di diverso che negli altri paesi: è una organizzazione enorme, onnipresente, onnipotente e ricchissima. Le loro caserme sono proprietà gigantesche, città nelle città, grandi come è grande il parco di Monza, collocate nei centri delle città e nelle zone di confine, da cui controllano tutte le questioni di frontiera, le migrazioni e i traffici, leciti o no. Come era possibile immaginare che sarebbe stato agevole far rientrare le funzioni dell’esercito nell’ambito di un governo civile del paese?
I militari, gente particolarmente crudele, vanno a prendere gli oppositori nelle loro case, di giorno e di notte. Nel frattempo hanno liberato migliaia di prigionieri comuni (più di 20mila) per far posto nelle carceri ai pacifici dimostranti. I prigionieri liberati (criminali comuni) sono incitati e pagati per provocare violenze e disordine, dar fuoco alle case, distruggerle, e persino ferire e uccidere tra la folla con lunghi coltelli affilati, con sassi e fionde. Ho visto foto terribili che testimoniano questi crimini. Le persone uccise sono decine. Quelle arrestate migliaia. Aung San Suu Kyi è accusata del gravissimo crimine di possesso di ricetrasmittenti.
I missionari del Pime evangelizzano in Myanmar dal 1868, tra loro alcuni dei nostri migliori: Felice Tantardini e i beati Clemente Vismara, Alfredo Cremonesi, Paolo Manna e Mario Vergara, quest’ultimo beatificato con il suo catechista Isidoro Ngei Ko Lat. Dal 2018 vado tutti gli anni a Taunggyi (capitale dello stato dello Shan) per insegnare nel programma formativo dei seminari diocesani. Un paese meraviglioso, che si fa amare così come lo conosci.
Il Myanmar è una terra di fede buddhista, con molti monaci impegnati in prima fila per conquistare e difendere la libertà. I cattolici sono accanto a loro, scendono in piazza e sulle strade. Le foto di fedeli, suore e preti in piazza con il rosario e cartelli in mano, ricordano una simile partecipazione alle proteste popolari di Manila (Filippine) nel 1986; di Seoul (Korea) nel 1987 e a Hong Kong nel 1989, nel 2003, nel 2014 e nel 2019 e 2020.
La foto di Ann Rosa Nu Tawng, delle Suore di San Francesco Saverio che, lo scorso 28 febbraio a Myitkyina, nello stato di Kachin (nord Myanmar) ferma in ginocchio la polizia, parla da sola. E richiama la famosa istantanea dello sconosciuto uomo di Tiananmen che il 5 giugno del 1989 ha, da solo, fermato una colonna di carri armati.
Le consorelle di Suor Ann Rosa operano nella città di Lecco e hanno partecipato alla manifestazione degli amici del Myanmar tenuta lo scorso 16 febbraio davanti a Palazzo Marino, a Milano.
Il convegno della diocesi di Milano dello scorso 13 febbraio è stato dedicato ai movimenti popolari che, secondo l’enciclica Fratelli tutti, producono la conversione politica di cui ha bisogno l’umanità. In quell’occasione ho affermato che questi movimenti ci sono già. Li ho visti in atto a Hong Kong e in Myanmar. Movimenti di popolo, pacifici, che promuovono la libertà e la partecipazione di tutti, soprattutto dei giovani, all’edificazione della comunità sociale. È sconcertante che non si riconosca la dignità di questi movimenti dove, tra l’altro, i cattolici hanno un ruolo guida. Fedeli come la giovanissima Agnes Chow di Hong Kong ora in carcere per aver preso sul serio la vocazione cristiana: figlie e figli di Dio, battezzati a immagine di Cristo, l’autore della libertà.
Il coraggio e disponibilità a donare la propria vita della gente del Myanmar, tra i quali coraggiosi fratelli e sorelle nella fede, e similmente degli attivisti democratici di Hong Kong, sono una testimonianza del primato della dignità umana e della coscienza sulla violenza del potere politico e militare. Purtroppo sappiamo che, tra le penose prudenze e i silenzi di troppi, questi nostri amatissimi fratelli e sorelle vanno incontro a sofferenze e sconfitte.

​PREGHIERA PER IL MYANMAR
 
Signore, soffia il tuo Spinto sulla terra birmana.
Dona pace a tutti 1 popoli del Myanmar,
consola gli animi di chi vuole riconquistare la propria libertà,
ascolta il grido di coloro che chiedono giustizia.
 
Signore, infondi coraggio
alla Chiesa birmana e ai leader di tutte religioni,
dona loro la forza di adempiere alla vocazione di guide e pastori dei fedeli.
 
Spirito di Sapienza, soffia forte su tutti i fedeli birmani,
porta loro il dono del discernimento, perché sappiano vincere il male con il bene.
 
Signore, soffia il tuo Spirito
sulle coscienze di chi abusa del proprio potere,
apri gli occhi di chi non riconosce nel prossimo il proprio fratello e la propria sorella,
illumina le menti di chi usa la propria forza non per difendere l'altro, ma per schiacciarlo.
 
Signore, soffia il tuo spirito d'Amore su tutti noi tuoi figli,
rendici capaci di scoprire la tua volontà e di farla nostra,
per poter partecipare, in unità fraterna,
alla costruzione del tuo Regno di Pace.
Amen

ADORAZIONE VOCAZIONALE MISSIONARIA - Febbraio 2021

5/2/2021

 
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                           Conversione e chiamata

Della Lettera ai Galati 1,13.15-16  Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi. Ma quando Dio che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque  di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani.


                   Riflessione

 Testimonianza dalla vita di Madeleine Delbrêl  

Madeleine Delbrêl nasce il 24 ottobre 1904 in Francia. È una ragazza con una intelligenza particolarmente vivace: studia pianoforte, scrive poesie, compie gli studi letterari e filosofici all’Università Sorbona di Parigi. Suo padre, persona brillante, apre la casa a letterati e poeti agnostici che influenzano Madeleine e la portano ben presto a rinnegare la fede in cui è stata educata. 

Madeleine si dibatte interiormente in particolare attorno al problema della morte e della sua assurdità, al punto che a 17 anni afferma che Dio è morto.  
Così scrive: “Dio è morto … viva la morte … Se Dio è morto, allora a dominare è la morte e bisogna prenderne atto coraggiosamente.”   
In quel periodo Madeleine s'innamora di Jean Maydieu un ragazzo molto spirituale. E quando viene a sapere che Jean è entrato nel noviziato dei Domenicani, non capisce: cosa ha spinto la persona che lei ama così tanto a preferirla a un Dio che neanche esiste? Madeleine va in crisi.  
A 20 anni arriva la sua conversione. Essa è preparata da diversi avvenimenti: la salute di suo padre che diventa cieco, la depressione in cui cade, e finalmente l’incontro con un gruppo di cristiani la cui testimonianza di vita la impressiona particolarmente. 
Scrive: “Se volevo essere sincera, non essendo più Dio rigorosamente impossibile, non doveva essere trattato come certamente inesistente. Scelsi ciò che mi sembrava il miglior modo di tradurre il mio cambiamento di prospettiva: decisi di pregare … Dopo, leggendo e riflettendo, ho trovato Dio, ma pregando ho creduto che Dio mi trovasse e che è realtà vivente, e che lo si può amare come si ama una persona “.  
Vorrebbe entrare al Carmelo per consacrarsi a Dio come monaca di clausura, ma rinuncia per ragioni familiari e decide di lavorare per Dio nel mondo.  
Dedicherà tutta la sua vita a far conoscere il Signore soprattutto tra gli operai, nelle fabbriche, e nei quartieri più poveri di Parigi, tra coloro che sono lontani dalla fede.  
Muore il 13 Ottobre 1964 a 60 anni. 


 Preghiera
​

Signore Gesù, Tu primo missionario,  
hai chiamato uomini e donne peccatori  
a lavorare nel tuo campo. 
 Oggi chiami anche me  
e mi dici: “Vieni, seguimi”. 


Mi chiami nonostante le mie debolezze, 
 le mie paure, i miei limiti, le mie mancanze,  
a stare con Te  
e ad operare per l'annuncio del Vangelo  
in tutto il mondo.  
 
Sull'esempio di san Paolo,  
rendimi un missionario  
dedicato totalmente alla causa del Vangelo. 
 Che il tuo Spirito Santo risvegli in me  
il coraggio e la gioia di donarti tutta la mia vita,  
e mi liberi da ogni paura che mi paralizza.
 
Come Madeleine Delbrêl 
dammi un cuore attento al grido dei miei fratelli 
 e rendimi amante della tua Parola. 
Accendi nel mio cuore  
il fuoco della tua audacia  
perché io ti segua sempre ed ovunque. 
 
Amen. 

Giornata Internazionale della Memoria delle vittime dell’Olocausto

29/1/2021

 

L’albero di Etty

  Per la prima volta il seminario missionario di Monza ha commemorato la giornata dedicata alla memoria dell’Olocausto.
Noi veniamo da paesi e continenti che hanno  vissuto la tragedia di genocidi e guerre, anche nel recente passato, di cui dobbiamo fare memori
a perche' non succedano piu'.
A
bbiamo dedicato un albero del giardino del seminario, su suggestione del preside Gianni Criveller, alla memoria di Etty Hillesum.
Etty Hillesum (1914-1943) è una giovane di Amsterdam di origine ebraica che riportò in un diario il suo viaggio interiore e le vicende tragiche della sua vita. All’inizio molto presa dalle sue insoddisfazioni esistenziali, vede il suo mondo crollare a causa della persecuzione nazista. Mentre i suoi amici perdono la fede di fronte al male, Etty fa un cammino al contrario: da non credente diviene credente. E scopre la bellezza della vita. Prega perché spinta da una forza interiore e scopre Dio dentro di sé, proprio quando Dio sparisce dalla scena del mondo. Si offre ad aiutare Dio e il suo popolo. Sceglie il volontariato nel campo di concentramento e smistamento di Westerbork e, pur potendosi salvare, decide di condividere la sorte tragica del suo popolo. Deportata ad Aushwitz, viene uccisa a 29 anni il 30 novembre 1943.
  Il 13 febbraio 2013, due giorni dopo aver annunciato le sue dimissioni, Papa Benedetto XVI cita il Diario di Etty Hillesum. «Inizialmente lontana da Dio, lo scopre guardando in profondità dentro se stessa e scrive: Una sorgente molto profonda è dentro di me. E Dio è dentro quella sorgente. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri».
 
Alla sera abbiamo seguito in streaming lo spettacolo Etty Hillesum- Un cuore pensate, di Elda Olivieri, che attraverso parole, musica, canti ed immagini ha ricostruito la vita di Etty e il suo messaggio. È seguito un breve forum con Elda Olivieri a cui ha preso parte anche il nostro preside, che ha studiato a fondo Etty Hillesum e ne parla spesso anche a noi. 
Ecco il link ad una delle sue pubblicazioni:
http://narrabilando.blogspot.com/2020/05/dammi-un-piccolo-verso-di-tanto-in-tanto.html
Ecco i brani di Etty che abbiamo letto attorno all’albero di Etty: 

La missione di Etty
Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, dovunque essi siano, sarà troppo poco. (…) Se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati a ogni costo – e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione – allora non basterà.
Più tardi viaggerò per i paesi del tuo mondo, mio Dio, io lo sento in me, questo istinto che passa i confini, che sa scoprire un fondo comune nelle varie creature in lotta fra di loro su tutta la terra. E vorrei parlarne con voce sommessa e dolcissima, e insieme persuasiva e ininterrotta. Dammi le parole e dammi la forza. Ma prima voglio trovarmi al fronte, tra gli uomini sofferenti. E poi avrò bene il diritto di parlare!
​
Condividere il destino del proprio popolo
Molte persone mi rimproverano, dicono che chiunque possa fuggire deve provare a farlo, che questo è un dovere. Ma questa somma non torna. In questo momento ognuno si dà da fare per salvare se stesso: ma un certo numero di persone – un numero persino molto alto – non deve partire comunque?
 
Essere nelle braccia di Dio
Il buffo è che non mi sento nelle loro grinfie, sia che io rimanga qui, sia che io venga deportata. Trovo tutti questi ragionamenti cosi convenzionali e primitivi e non li sopporto più, non mi sento nelle grinfie di nessuno, mi sento soltanto nelle braccia di Dio.
E sia che ora io mi trovi qui, a questa scrivania terribilmente cara e familiare, o fra un mese in una nuda camera del ghetto o forsanche in un campo di lavoro sorvegliato dalle SS, nelle braccia di Dio credo che mi sentirò sempre. Forse mi potranno ridurre a pezzi fisicamente, ma di più non mi potranno fare. Questa è poca cosa, se paragonata a un’infinita vastità, e fede in Dio, e capacita di vivere interiormente.
 
La vita è davvero bella!
Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto.
Se sopravvivrò a questo tempo e se allora dirò: la vita è bella e ricca di significato, bisognerà pur credermi!
Come eravamo giovani solo un anno fa su questa brughiera, Maria, ora siamo un tantino più vecchi. Noi stessi non ce ne rendiamo veramente conto: siamo stati marchiati dal dolore, per sempre. Eppure la vita è meravigliosamente bella nella sua inesplicabile profondità, Maria – devo tornare sempre su questo punto.
 
La preghiera di Etty
Ieri sera, subito prima di andare a letto, mi sono trovata improvvisamente in ginocchio: spinta a terra da qualcosa che era più forte di me. Tempo fa mi ero detta: mi esercito nell’inginocchiarmi.
Esitavo ancora troppo davanti a questo gesto che è cosi intimo come i gesti dell’amore, di cui pure non si può parlare se non si e poeti. Qualche volta ho la sensazione di avere Dio dentro di me.
Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano.
Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni.
Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me. Una cosa, però, diventa sempre più evidente: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi, e l’unica che veramente conti, e un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio.
Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. E credimi, io continuerò a lavorare per te e a esserti fedele e non ti caccerò via dal mio territorio.
Dammi un piccolo verso al giorno, mio Dio, e se non potrò sempre scriverlo perché non ci sarà più carta e perché mancherà la luce, allora lo dirò piano, alla sera, al tuo gran cielo. Ma dammi un piccolo verso di tanto in tanto.
 
L’albero di Etty
Mentre scrivo queste cose sento che è un bene che io debba rimanere qui. D’un tratto mi rendo conto di aver vissuto così intensamente, in due mesi ho consumato le riserve di una vita intera.
Ecco, l’albero è ancora lì, l’albero che potrebbe scrivere la mia biografia. Però non è più lo stesso albero –o forse sono io che non sono più la stessa persona. Mi metti davanti ai Tuoi massimi enigmi, mio Dio. Ti sono riconoscente per questo, ho anche la forza di affrontarli, di sapere che non c’è risposta. Bisogna saper sopportare i tuoi misteri.

Pane spezzato e balsamo per molte ferite
Comincio ad assorbire una piccola parte del gran dolore che dev’essere assorbito su tutta la terra. Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini. Erano così affamati, e da tanto tempo.

Vorrei essere un balsamo per molte ferite.

​Riconoscersi “Fratelli Tutti”

14/12/2020

 
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Questo tempo così difficile e sospeso della pandemia, che sta portando tanta sofferenza e tanta fatica, ha posto e ci pone molte domande di senso circa il dolore, la morte, la vita, Dio…
Penso che queste domande concrete, della vita, ci possano aiutare anche a parlare delle cose di Dio e dello Spirito in una maniera più autentica, vera e normale.
  È sempre difficile di fronte al dolore e alla sofferenza trovare delle risposte adeguate, pertanto spesso gli interrogativi rimangono senza risposta. Credo però che queste domande di senso possano essere l’occasione per cercare di trovare insieme delle risposte: io credente, io non credente, io di un’altra religione, io dell’Est, io dell’Ovest e così via.
  Il dialogo, l’incontro, l’ascolto, l’attenzione verso l’altro, sono alcuni dei temi che emergono nell’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti.
La fraternità che ci propone il Papa forse è il vero modo per sconfiggere la pandemia. Ovvero se la pandemia è un male universalizzato, la fraternità universale universalizza il bene. La solidarietà, infatti, cambia la vita degli uomini. E cambia la storia.
   Crediamo che il ben-essere sia salvare se stessi. È un inganno. Siamo talmente deformati dall’individualismo e da questa concezione da non riconoscerci tutti fratelli, dono gli uni per gli altri. 
  Il cristianesimo non è un fatto intimistico, individuale, privatistico. Gesù ha pregato dicendo Padre “nostro”. Ha parlato di fratelli: «…miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21). Ha parlato di famiglia: «Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli!”» (Mc 3,34).
  La verifica del nostro incontro e del nostro amore verso il Signore sta nel riconoscerlo e amarlo nei fratelli. Non ti occupi del Padre eterno se non ti occupi del prossimo. E credo che, chi ama il prossimo incontrerà, magari anche non volendo, il Padre eterno.  
 Non dimentichiamoci che la dimensione familiare e fraterna sarà l’unità futura nel Regno di Dio: un’unità che, tuttavia, deve iniziare già quaggiù.
  Non è un discorso morale quello di Gesù: la responsabilità verso l’altro non è un problema di morale, o di non essere generosi. È un fatto di amore. Scoprire che l’altro è mio fratello, che l’altro è un dono, vuol dire trovare un senso e un motivo di vita, di gioia, qualcosa di bello.
Spesso riduciamo l’amore per il prossimo a un gesto altruistico, ma l’amore verso il prossimo ti fa scoprire anche chi sei veramente. 
   Amare non è un dovere, ma una necessità per vivere, se vuoi essere te stesso, te stessa, se vuoi capire chi sei, se vuoi conoscere la tua identità, la tua appartenenza. Alle risposte sulle domande di senso, esistenziali, non ci si arriva solo con la ragione o con l’intelligenza. Ci si arriva anche con il cuore.  
  Questo è l’unico modo per star bene (non in termini morali). Forse, come cristiani, questa gioia, questa felicità, questa bellezza dell’incontro, dell’amore per il prossimo le testimoniamo ancora troppo poco. 
  Spesso siamo convinti che la gioia sia un sentimento dell’animo, sia dentro di noi, sia una cosa nostra, per cui solo in certi momenti la possediamo, ma abbiamo il timore di perderla o di diminuirla: la gioia e la pace sono invece esterne a noi, sono una realtà, o meglio, sono una persona che vive di fronte a noi. 
    Quando Gesù, infatti, dopo la resurrezione entrò nel cenacolo, offrì la pace agli apostoli perché si era reso loro presente: è lui la pace.
Il Signore, però, si manifesta in tutto e in tutti, e i miei incontri con le cose, con gli avvenimenti, con le persone, diventano la mia gioia, perché sono la realtà e la verità concreta.
   Non è importante allora lo stato d’animo, ma la risposta che diamo alla realtà che ci sta di fronte. 
La relazione, la fede, l’amicizia con Dio va manifestata con i fratelli e con tutto il Creato. Già nelle prime pagine del libro della Genesi è evidente questo triplice rapporto: la rottura con uno di questi significa la rottura anche con gli altri due. Adamo, disubbidendo a Dio, si è trovato in contrasto col Creato e in difficoltà con Eva, il suo prossimo.
  L’unità che Gesù è venuto a portare si riferisce contemporaneamente a tutti e tre. Per questo motivo non esiste opposizione tra amore di Dio e amore del prossimo, ma sono una stessa cosa, perché esiste un unico amore, uno è dentro all’altro: quello di Gesù verso il Padre che trascina quello di tutti i suoi fratelli.
 In genere, ci accorgiamo nelle situazioni di emergenza che il fare comunità è una delle cose di cui abbiamo più bisogno. Ma questa dovrebbe essere una dimensione ordinaria, non straordinaria, e la Chiesa dovrebbe essere questo telaio in cui tutti quanti i fili riescono a trovare un po' il senso.
   Il virus ci ha permesso di avere uno sguardo più globale, vedere quanto siamo interconnessi.
Non è vero che ognuno fa per conto suo, e che ognuno pensa a se stesso. Tutto esiste insieme e tutti ci influenziamo l’un l’altro. Non possiamo fare senza gli altri, e ogni volta che rifiutiamo qualcuno, ci mancherà un pezzo di noi; lo sentiremo come qualcosa che dovevamo avere e che non abbiamo più.
   Da qui l’ambizione grande che tutti possano essere fratelli (e sorelle), nessuno escluso. Pensare che tutti lo siano ed esserlo per tutti. Cominciando da me stesso, non aspettando che cominci l’altro. Io comincio a essere fratello di tutti.
   Il camminare insieme è una risposta concreta, una proposta, un’indicazione. Significa anche non abbandonare nessuno, non rifiutare nessuno. 
Per questo è necessaria una disposizione d’animo molto profonda, un’amorosa presenza a tutte le cose, a tutti gli uomini, agli avvenimenti, per scoprire in essi la presenza dello Spirito. 
    Allora sapremo vedere anche in un musulmano l’attenzione al mistero di Dio, la preghiera intima, la capacità di spendere del tempo per il Signore; o in un ortodosso la grande coscienza della preghiera liturgica delle comunità ecclesiali; nel buddhista la relatività della vita umana e la certezza in quella futura, come pure la fine di questa, più vicina di quanto non ci possa sembrare; in un africano il concetto di famiglia allargata, così differente dal nostro, ristretto solo ad alcune persone; in tutti i poveri, infine, il considerare come cosa normale che si divida o condivida il pane.  
   Questa è la famiglia nuova di Gesù; a questo egli vuole prepararci; questo ci vuole richiamare. Per costruire tale mentalità, per convertirci a questa «famiglia di Gesù», è necessario avere come sottofondo una fraternità con tutti: con la persona che sale in autobus e non ha due euro per cui le offriamo il biglietto; con lo sconosciuto che aiutiamo a trasportare la valigia in treno; con chi chiede il posto prima di noi perché ha fretta, in una lunga fila d’attesa; con chi in auto vuole la precedenza anche se non ne avrebbe diritto; col cameriere che fa attendere molto tempo prima di servire il pranzo; coi familiari che pretendono tutto da noi e d'ogni pretesa ne fanno un diritto.
La fraternità autentica dona e anche chiede; in questo scambio, anche chi si sente solo, quasi finito, ormai fallito, può ritrovare fiducia e stima in se stesso. 
   Simile relazione non pone orari nell'incontro con l’altro, non ha preferenze, se non per riuscire meglio a donarsi a tutti gli altri.
Gesù a Zaccheo ha chiesto solamente un atto di amicizia: mangiare in casa sua. Alla samaritana ha chiesto una gentilezza, un bicchiere d'acqua; ai primi due discepoli, Andrea e Giovanni, ha chiesto solo di rimanere a parlare con lui; a tanti infelici ha donato solo quanto domandavano: la vista, il pane, la parola, la vita.
  Il buon samaritano non chiede come ricompensa al ferito di cui ha cura una conversazione, l'adesione alla sua idea: gli è sufficiente fare incontrare quest'uomo con l'amore.
    La carità è, da sempre, un incontrarsi con Dio. La disponibilità e l'amore rispettoso portano sempre a lui e nulla v'è da aggiungere, perché in essa v'è amicizia, v'è fraternità. 

                                                                                                                                                           P. Mauro Pazzi
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