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6/10/2013

A servizio della fede che libera

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di P. Francesco Rapacioli, PIME 
(Rettore, Seminario Filosofico e Teologico Internazionale PIME)

       “La fede che libera”: ma è proprio così? Tanti, oggi, contestano tale affermazione. La fede appare a loro, più che liberante, oppressiva e alienante. Eppure noi credenti siamo convinti del contrario. La persona di papa Francesco, per fare un esempio tra i molti possibili, è assolutamente affascinante non primariamente per il suo temperamento, la sua cultura, la sua storia, ma soprattutto per la sua fede. Tanti si sentono attratti dalla sua persona, dalle sue parole e dai suoi gesti, precisamente perché essi testimoniano una bontà e una bellezza particolarmente persuasive. Il papa è un uomo “libero” non nonostante, ma grazie alla sua fede. 

  Questo discorso, interessante di per sé, è assolutamente rilevante per noi missionari. È il Vangelo per noi una “buona notizia”? Qualche volta sembra proprio di no. Siamo, infatti, noi missionari per primi talvolta a essere in crisi. Qualche volta vorremmo ridurre la portata del nostro ministero, renderlo socialmente accettabile, “politicamente corretto”. Ci trasformiamo in “mediatori culturali” in “operatori sociali”. Sia ben chiaro: entrambe le professioni sono degnissime e importantissime, ma hanno la caratteristica di non implicare necessariamente la fede. In fondo, come agli inizi della predicazione cristiana, vorremmo scrollarci di dosso lo “scandalo” e la “follia” della croce. Il missionario è apprezzato in quanto promotore del dialogo tra religioni e culture, per la sua lotta contro la povertà e l’ingiustizia, ma raramente per il suo annuncio evangelico, considerato anacronistico, superato.

       La crisi della missione è dunque ultimamente una crisi di fede. Nella sua enciclica sulla missione, Giovanni Paolo II scriveva: “in questa «nuova primavera» del cristianesimo non si può nascondere una tendenza negativa … : la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento … Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede” (Redemptoris Missio, n. 2).

        Siamo convinti che Cristo ci renda effettivamente liberi e che la missione sia una questione innanzitutto di fede? Dalla risposta a queste domande non dipende soltanto il futuro della missione, ma anche quello dei missionari, che trovano in essa la ragione della propria vita, e di chi si prepara a diventarlo. Senza questa certezza, infatti, diventa semplicemente incomprensibile la decisione che un seminarista missionario si accinge a prendere. Senza tale consapevolezza diventa insostenibile per questi giovani lasciare il proprio Paese, dove il cristianesimo è talora una piccola minoranza, per porsi, in un altro Paese e per tutta la vita, a servizio dell’evangelizzazione di chi non crede in Cristo. 

         Il seminario teologico internazionale si pone proprio al servizio del discernimento e della formazione di giovani che hanno sentito nella propria vita la chiamata alla missione estera. I giovani in formazione quest’anno a Monza, provenienti da una dozzina di Paesi di quattro continenti, sono una cinquantina. Ciò che li accomuna, pur nella diversissima provenienza linguistica e culturale, è, oltre che la fede, il desiderio di diventare presbiteri missionari. E la formazione di questi giovani è il risultato dell’impegno di tantissime persone che hanno a cuore la loro crescita. Oltre ai formatori, confratelli, insegnanti, presbiteri, consacrati e laici delle parrocchie e istituzioni dove si recano il sabato e la domenica, il seminario può vantare il supporto anche di tanti amici che rendono possibile tale processo formativo. 

        Oltre che esprimere profonda gratitudine e assicurare la nostra preghiera a tutte queste persone, invitiamo chi lo desidera a fare altrettanto. Si può, infatti, certamente sostenere la missione estera in moltissimi modi, ma non c’è alcun dubbio che offrire la propria preghiera, i propri sacrifici e il proprio sostegno fattivo per questi giovani, sia uno dei contributi più decisivi e importanti che possiamo dare all’evangelizzazione. La fede che libera può essere, infatti, condivisa soltanto grazie a qualcuno che si rende disponibile a tale compito, assolutamente urgente e prioritario anche oggi.


(dall'articolo di P. F. RAPACIOLI, Al servizio della fede, in “Mondo e Missione”, Ottobre 2013, p. 25-26.)


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