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12/2/2017

Allargare i confini della rete

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“Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.”
        Il portone della Chiesa è spalancato, la chiesa è gremita, il coro intona un canto che sale da dietro l’abside mischiandosi con i bisbigli dei presenti.  Patience, il cerimoniere del seminario, varca la soglia. Subito dopo procede Yue, che regge una grande croce di metallo. In modo ordinato seguono i chierichetti, i sette accolitandi e un discreto numero di preti. Il fumo dell’incenso riempie la navata insieme a qualche colpo di tosse. Ha inizio la messa domenicale nella comunità di Bussero, nella quale verrà anche conferito il ministero dell’accolitato ai seminaristi del P.I.M.E.
      L’accolito è colui che aiuta il sacerdote o il diacono per la liturgia, specialmente nel servizio all’altare durante la messa. Può distribuire la comunione e ha come compito particolare l’attenzione ai deboli e agli ammalati. Noi siamo i sette accolitandi, seminaristi del P.I.M.E. e compagni di seconda teologia.
    Procediamo attraverso la navata centrale: genuflessione davanti all’altare, poi ci disponiamo su una fila di sedie, davanti alle panche, di fronte al presbiterio, mentre il coro continua il canto e noi con loro cantiamo. Mi giro verso sinistra, accanto a me c’è Alessandro, ma il mio sguardo è rapito da una corda gialla, che sbuca dai nostri camici proprio all’altezza dell’ombelico e ci lega l’uno all’altro. È una corda robusta, di quelle che si usano nell’alpinismo, per procedere in “cordata”.
       Sorpreso, mi volto di scatto verso Joseph, è in piedi alla mia destra e anche con lui sono legato da una corda gialla, stessa fattezza di quella di Ale. Ancora non capisco. A ben guardare non è l’unica corda gialla, altre cinque partono dal mio ombelico e legano me ai miei compagni di classe: Peter, Pavan, Ranjith, Yves. Stupito e confuso sento qualcosa che mi tira dalle spalle. proprio dietro di me, seduti sulla prima panca, ci sono mia mamma, mio papà e mio fratello e tre corde ci congiungono.
        Sono funi con una storia lunga, in alcuni punti sono consumate  esternamente, ma proprio quei punti lasciano intravedere  un’anima costituita da un cavo di acciaio. Alzo lo sguardo e mi accorgo che la chiesa è invasa da una moltitudine di funi, di ogni colore, dimensione, resistenza. Tagliano lo spazio in linee nette. Le corde non congiungono solo me agli altri, sono solo uno dei nodi di questa ragnatela variopinta, che si distende per tutta la chiesa di Bussero. Ci sono tanti nodi quante sono le persone presenti e l’intrigo che si forma è apparentemente disorganizzato.  

       Comincio a capire cosa mi si è materializzato davanti agli occhi. Sono i legami che intercorrono tra i presenti. Hanno  colori e resistenze diversi in base al tipo di legame: riconosco il colore della famiglia, quello degli amici di sempre, dei compagni di seminario, quello dei ragazzi e delle persone della comunità di Bussero che ho conosciuto in questi due anni. Ci sono perfino corde che mi legano a chi ho visto una sola volta e una grande matassa che corre dritta attraverso la navata centrale ed esce dal portone sparendo dall’orizzonte. Sono i legami con chi non è presente oggi  in questa chiesa, in questa domenica, ma è presente nella vita.
        La messa comincia, il clima è raccolto, molti sono rimasti in piedi eppure si avverte un silenzio pieno. Partecipiamo alla liturgia e ho la sensazione che la rete mi sostenga. Nessuno strattone improvviso. Penso a quelle volte che sono stato ferito dalla corda, da un legame che mi ha sfregato sulla pelle oppure quelle volte in cui sono stato io ad abusare del legame facendo diventare la fune uno strumento di violenza. È la stessa rete, eppure gli effetti sono così diversi.
      Amal, il nostro diacono, proclama il Vangelo: parla di un uomo con una mano inaridita, di come Gesù abbia guarito di sabato questo uomo, facendogli stendere la mano. Penso alle mie mani che tra poco potranno ricevere il corpo di Cristo sacramento e poi si stenderanno per donarlo ad altri, che desiderano a loro volta ricevere Gesù sacramento. In quel gesto vi è per me una possibilità di essere guarito. La mia mano che si distende può guarire anche altri gesti, in cui la stessa mano rimane bloccata, paralizzata dalle mie aridità.
        Credo che Dio si serva di azioni, di parole umane per farne gesti divini, in cui può passare e guarire. Riguardo la rete oggi presente in chiesa. Siamo molti, con legami diversi eppure la coesione è palpabile, partecipiamo con parole e gesti alla liturgia e ognuno ha una sua caratteristica: così come il prete celebra, i chierichetti servono l’altare, il coro aiuta l’assemblea a pregare cantando e l’assemblea partecipa attivamente. Siamo connessi tra di noi e all’evento di cui facciamo memoria, la Cena del Signore. Mi vengono in mente le parole di Paolo nella lettera ai Corinzi:
“molte sono le membra, ma uno solo è il corpo.”
​
“Dio ha composto il corpo, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre.”
    Siamo oggi riuniti come un solo corpo per dare precedenza a Dio e sempre Paolo afferma:
“Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.”​
​

        In un lampo vedo che questa è la forma della rete che si è costituita. L’intrigo di corde connette le varie membra del corpo di Cristo. Dio può passare, guarire e riempirci di gioia. La bellezza che mi si dispiega davanti agli occhi, fissa in me la convinzione che essa non rappresenti un momento straordinario difficilmente ripetibile, piuttosto il vero volto della comunità, quando si raduna a celebrare l’Eucarestia.
      Arriva il momento della comunione e si formano file ordinate sulle navate, le parole come i gesti sono poche e semplici: mani che si distendono per donare, mani che si distendono per ricevere. Il corpo di Cristo. Amen.  
      La messa è all’apice della relazione, della “comunione” e al tempo stesso si sta per concludere. Il corpo di Cristo sacramento che abbiamo ricevuto, il corpo di Cristo formatosi attraverso i nostri legami, ha bisogno di uscire dal portone da cui siamo partiti.
        La felicità è presente sulla piazza di Bussero in questa domenica di Febbraio ed essa è vera solo se è condivisa. Per questo la festa ha bisogno di continuare, ha bisogno di scorrere lungo i legami, allargando i confini della rete, per nutrire quei nodi che si stanno allentando, le corde che stanno soffrendo e continuare a lasciare che le relazioni siano modellate sulla forma del corpo di Cristo.

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