![]() con gioia, il diacono Anauçelison Aparecido "Çelo" Teodoro Moreira racconta la sua esperienza in Guinea Bissau. Questa estate ho avuto la grazie de fare due mesi in Guinea Bissau, presso la missione di Bambadinca insieme a p. Dioniso Ferraro e p. Giovanni Phe Thu. Adesso vi racconto un po’ questa mia esperienza. I primi due giorni sono stato a Bissau in una nostra parrocchia del PIME dedicata alla Madonna di Fatima. Il caos di Bissau ha catturato la mia attenzione, c’è molto movimento li’. Il commercio è la fonte di reddito più alta della Guinea. Ovunque c’è qualcuno che vende qualcosa, senza parlare delle persone che offrono la loro merce vagando sulle strade. Da Bissau sono poi partito per la mia destinazione, Bambandinca, dove ho cominciato ad avere più contatti con i guineensi. Quello che mi è piaciuto di più e’ stato l’incontro con i bambini, erano tantissimi e tutti affettuosi. La gente e’ molto accoglienti e simpatica e per mia fortuna hanno tutti un grande affetto per il Brasile. Mi hanno accolto molto bene. Tutto in Guinea è molto semplice, si vive con lo stretto necessario, spesso nemmeno quello. In questo modo l'evangelizzazione non può essere che associata a un lavoro di promozione sociale; quasi tutte le missioni cattoliche avviano scuole, cliniche, pozzi d’acqua e tantissime altre iniziative. Qui tutti gli aiuti spirituali e finanziari sono benvenuti. La maggioranza della popolazione e’ di religione musulmana o della religione tradizionale africana; solo il 40% della popolazione è cristiana (cattolici e protestanti messi insieme). Lo stile di chiesa è molto diverso da quello che siamo abituati, i sacramenti vengono dati ai giovani e adulti soltanto dopo una forte formazione religiosa. La preparazione è molta lenta a causa del tipo di costumi del popolo. In molti luoghi ancora, soprattutto nei villaggi, si fa ancora una evangelizzazione che ha lo scopo di insegnare alcuni valori fondamentali che sono essenziali, come non rubare, mantenere la fedeltà nel matrimonio e negli impegni… Posso dire che ho fatto un’esperienza bellissima e significativa, dove ho scoperto il volto di Gesù in ogni Guineense, un volto, una presenza del figlio di Dio in un popolo che soffre ma che è felice: di una felicita’ che si traduce in “speranza.” Avrei mille altre cose da raccontare, anche alcune di cui non ho avuto esperienza diretta, ma che ho sentito raccontare da quasi tutti i missionari; sono il genere di cose che si capisci soltanto dopo essersi inseriti a pieno nella cultura di un popolo. Ma più che raccontare, vi invito, se ne avrete l’opportunità, di fare anche voi una esperienza del genere, che è cosi arricchente, o in Guinea o qualsiasi altra missione.
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Il racconto di Joseph Kouadio (in motociclo) durante la sua esperienza in missione in Brasile
Non appena ho deciso di scrivere queste righe, mi sono reso conto delle difficoltà in cui mi sarei imbattuto. Di fatto, non è né facile né semplice raccontare, anzi, racchiudere in un testo di senso compiuto, l’emozione che mi ha coinvolto per tutta la durata dell’esperienza, sin dal primo giorno. Voler raccontare in poche parole sei settimane di avvenimenti sarebbe pretenzioso perché le parole non sono in grado di tradurre veramente il vissuto. Comunque provo a dire qualcosa, consapevole di non poter dire tanto. Tre erano i momenti importanti di questa esperienza: visita alle missioni del Mato Grosso del Sud, con tappa nel Paranà, preparazione e svolgimento della settimana di Pré-GMG PIME a São Paulo e la GMG stessa a Rio de Janeiro. L’esperienza di missione è segnata da una presenza di ventun (21) giorni nelle missioni del PIME nella regione Brasile Sud (Centro di animazione missionaria e parrocchie di Ibiporà: 6 giorni; parrocchia di Jardim: 3 giorni; parrocchia di Nioaque: 12 giorni), attraverso le gioie, le soddisfazioni, le fatiche (soprattutto a livello della comunicazione) di un gruppo composto da p. Jaime dal Brasile e 4 Seminaristi: Ace dalle Filippine, Joseph dalla Costa d’Avorio, Krishna dall’India e Raymundo dal Messico, in mezzo alla gente brasiliana. Che bello incontrare gente di un’altra cultura per scoprire le ricchezze e i limiti della nostra! Non è forse vero il detto secondo cui la verità dell’uomo si trova nel confronto con il diverso? la risposta è sì se considero la nostra esperienza in Brasile. Infatti, è stata un’esperienza di ampio respiro, capace di aiutare ognuno di noi (seminaristi) a saper leggere la propria storia confrontandosi con gli altri, fornendo così, un affresco partecipato e commovente all’esperienza: si viveva e si narrava con passione i sentimenti e le proprie esperienze nel quotidiano scontrarsi con i piccoli e grandi problemi della vita. È stata davvero una forte esperienza di convivenza tra di noi che proveniamo nazioni diverse. La trama di tutte le vicende resta comunque la figura esemplare delle persone incontrate. E ciò attraverso eventi, moti ed idee che hanno arricchito noi e anche loro. Sono persone molto accoglienti, amanti di Dio e dell’uomo, che per trovarli, non si stancano mai, accettando la difficoltà della lingua e trascurando le barriere della razza e della cultura per aprirsi all’altro; persone dolci e fiduciosi che si fidano senza riserva; cittadini che sanno ancora scandalizzarsi di fronte alle ipocrisie e alle insensibilità di una società che, assorbita dal materialismo e dalla ricerca del profitto, pratica più il cinismo e sempre meno la solidarietà; gente che attraversa la storia con il coraggio di chi vuol tentare di cambiare qualcosa e di lasciare anche solo un’ombra che possa contribuire a modificare il presente e migliorare il futuro, ma che a volte rimane ai margini perché troppo impegnata a trovare in se stessa un senso alla propria vita Mi sono soprattutto accorto che la lingua, la cultura e la razza non sono delle barriere tra i popoli, ma fonti di arricchimento reciproco. Infatti, la comunicazione difficile tra noi e quelle persone ha fatto capire la loro (ma anche la nostra) capacità di esprimere tutta la propria profondità attraverso i silenzi, i gesti, gli sguardi... e questa profondità del cuore viene espressa in uno scambio di vocaboli, di gesti carichi di emozioni impossibili da esprimere, a volte, a parole. E’ forse proprio il non detto, l’accennato, quello che rende la nostra esperienza così bella e ricca di calore. Fu anche bella la Pré-GMG a São Paulo. Infatti, dopo una settimana intensa di preparazione, in quanto équipe, ci siamo ritrovati nella parrocchia São Francisco Xavier nella periferia di São paulo con 250 giovani venendo da 4 continenti (Africa, America, Asia e Europa) e 7 Nazioni (Brasile, Hong-Kong-Cina, Guinea Bissau, Italia, Messico, Senegal, Venezuela) con chi abbiamo condiviso le giornate piene di attività di formazione e divertimento: le catechesi, le diverse testimonianze, la visita di comunità che accoglie ragazzi di strada, la visita di São Paulo, le serate culturali senza dimenticare i momenti di divertimenti improvvisati durante la giornata, la Messa nelle varie lingue presenti e il rosario missionario attraverso le vie. Essendo noi i traduttori nelle varie lingue presenti (Francese, Inglese, Spagnolo, Italiano), abbiamo avuto modo di scambiare con tantissimi di quei giovani in cerca di Dio e del senso della propria vita. Anche là, abbiamo potuto sperimentare l’accoglienza e l’umanità del popolo brasiliano che ha accolto tutti i pellegrini nelle proprie famiglia, condividendo la loro vita ordinaria con gente di provenienze diverse. Dopo questo bel momento insieme, oramai preparati fisicamente e spiritualmente, ci siamo incamminati verso Rio de Janeiro per vivere l’esperienza della GMG con gli altri giovani del mondo intero. Durante il viaggio, ci siamo fermati al santuario nazionale del Brasile: Nostra Signora Aparecida, per affidare noi stessi e il grande evento alla materna protezione della Madre del Signore. Una volta a Rio, abbiamo partecipato a tutti gli eventi importanti sulla spiaggia di Copacabana, insieme a tutti i giovani presenti. Fu emozionante vedere più di tre milioni di giovani là presente per incontrare il Cristo attraverso il suo Vicario, il Papa, che ci ha esortati a “andare senza paura per servire” perché solo così si diventa discepoli di Cristo e testimoni del suo Vangelo. Possa il Signore, nostro maestro, illuminare tutti e ciascuno di quei giovani, affinché questo desiderio di portare avanti il messaggio evangelico e di cambiare in positivo qualcosa nel nostro mondo possa diventare realtà. ![]() Dall’8 al 18 agosto sono stato a Reggio Calabria al Campo a livello regionale di Animazione di Strada del PIME con i ragazzi ed adolescenti di età dai 16 ai 23 anni (in totale eravamo 33 persone). Questo Campo è un modo di stare bene insieme, con il desiderio d'incontrare l'altro, di riflettere e lasciarsi interrogare, di portare nei luoghi della vita la voglia di incontrarsi e di far festa. I giovani provengono da diverse città d'Italia. A Reggio Calabria sono ospiti presso la “Capannina” che è un centro pastorale per i giovani della diocesi. Finalità del campo è l’evangelizzazione di strada realizzata da una Chiesa giovane che va nelle piazze e attraverso lo spettacolo coinvolge e forma i giovani riflettendo e confrontandosi sui testimoni del nostro tempo. Quest’anno abbiamo parlato di legalità con don Pino Puglisi , di fratellanza con Roger Freire e di salvaguardia del creato con suor Dorothy Schutz . Le uscite in piazza prevedono due momenti paralleli che vengono realizzati da due gruppi. Un gruppo realizza lo spettacolo in piazza cogliendo l’occasione anche per un piccolo angolo dedicato alla Mostra informativa sulle attività del Pime e i missionari martiri del nostro tempo, tra cui p. Fausto Tentorio, ucciso nel 2011 per difendere i diritti della popolazione dell’isola di Mindanao (Filippine) contro le multinazionali. L’altro gruppo anima l’Adorazione notturna in una Chiesa vicina che rimane aperta fino alla fine dello spettacolo, quando tutti i presenti nella piazza si spostano in chiesa per concludere insieme con un breve momento di silenzio davanti al Santissimo. In questi 10 giorni con i ragazzi, mi sono trovato molto bene ed è stata un' esperienza che volevo avere da tanti anni. Mi ha fatto capire che cosa vuol dire essere testimone di fede senza paura di perdere la faccia, anzi, mettendosi in gioco con tutta la forza, con tutto il cuore e con tutta l'anima per parlare di Gesù Cristo attraverso gli spettacoli nelle piazze e le adorazioni. Un'altra cosa bella che ho visto in questo Campo è la voglia di mettersi in gioco dei ragazzi; la voglia di fare cose belle per la loro vita e per la Chiesa, la voglia di stare e condividere con altri. Di tutto ciò che ho vissuto vorrei ringraziare il Signore per l'opportunità che mi ha dato e per avermi aiutato a trascorrere bene quei giorni e chiedo allo Spirito Santo di darci la forza e il corraggio di affrontare agli ostacoli nella vita quotidiana, sopratutto a quei ragazzi che stanno cercando di capire qual è la strada per la loro vita. Un grazie anche a tutti coloro che hanno vissuto con me questa esperienza. di Phongphan John Wangarsaw (studente di I Teologia, primo in fila) ![]() di P. Francesco Rapacioli, PIME (Rettore, Seminario Filosofico e Teologico Internazionale PIME) “La fede che libera”: ma è proprio così? Tanti, oggi, contestano tale affermazione. La fede appare a loro, più che liberante, oppressiva e alienante. Eppure noi credenti siamo convinti del contrario. La persona di papa Francesco, per fare un esempio tra i molti possibili, è assolutamente affascinante non primariamente per il suo temperamento, la sua cultura, la sua storia, ma soprattutto per la sua fede. Tanti si sentono attratti dalla sua persona, dalle sue parole e dai suoi gesti, precisamente perché essi testimoniano una bontà e una bellezza particolarmente persuasive. Il papa è un uomo “libero” non nonostante, ma grazie alla sua fede. Questo discorso, interessante di per sé, è assolutamente rilevante per noi missionari. È il Vangelo per noi una “buona notizia”? Qualche volta sembra proprio di no. Siamo, infatti, noi missionari per primi talvolta a essere in crisi. Qualche volta vorremmo ridurre la portata del nostro ministero, renderlo socialmente accettabile, “politicamente corretto”. Ci trasformiamo in “mediatori culturali” in “operatori sociali”. Sia ben chiaro: entrambe le professioni sono degnissime e importantissime, ma hanno la caratteristica di non implicare necessariamente la fede. In fondo, come agli inizi della predicazione cristiana, vorremmo scrollarci di dosso lo “scandalo” e la “follia” della croce. Il missionario è apprezzato in quanto promotore del dialogo tra religioni e culture, per la sua lotta contro la povertà e l’ingiustizia, ma raramente per il suo annuncio evangelico, considerato anacronistico, superato. La crisi della missione è dunque ultimamente una crisi di fede. Nella sua enciclica sulla missione, Giovanni Paolo II scriveva: “in questa «nuova primavera» del cristianesimo non si può nascondere una tendenza negativa … : la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento … Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede” (Redemptoris Missio, n. 2). Siamo convinti che Cristo ci renda effettivamente liberi e che la missione sia una questione innanzitutto di fede? Dalla risposta a queste domande non dipende soltanto il futuro della missione, ma anche quello dei missionari, che trovano in essa la ragione della propria vita, e di chi si prepara a diventarlo. Senza questa certezza, infatti, diventa semplicemente incomprensibile la decisione che un seminarista missionario si accinge a prendere. Senza tale consapevolezza diventa insostenibile per questi giovani lasciare il proprio Paese, dove il cristianesimo è talora una piccola minoranza, per porsi, in un altro Paese e per tutta la vita, a servizio dell’evangelizzazione di chi non crede in Cristo. Il seminario teologico internazionale si pone proprio al servizio del discernimento e della formazione di giovani che hanno sentito nella propria vita la chiamata alla missione estera. I giovani in formazione quest’anno a Monza, provenienti da una dozzina di Paesi di quattro continenti, sono una cinquantina. Ciò che li accomuna, pur nella diversissima provenienza linguistica e culturale, è, oltre che la fede, il desiderio di diventare presbiteri missionari. E la formazione di questi giovani è il risultato dell’impegno di tantissime persone che hanno a cuore la loro crescita. Oltre ai formatori, confratelli, insegnanti, presbiteri, consacrati e laici delle parrocchie e istituzioni dove si recano il sabato e la domenica, il seminario può vantare il supporto anche di tanti amici che rendono possibile tale processo formativo. Oltre che esprimere profonda gratitudine e assicurare la nostra preghiera a tutte queste persone, invitiamo chi lo desidera a fare altrettanto. Si può, infatti, certamente sostenere la missione estera in moltissimi modi, ma non c’è alcun dubbio che offrire la propria preghiera, i propri sacrifici e il proprio sostegno fattivo per questi giovani, sia uno dei contributi più decisivi e importanti che possiamo dare all’evangelizzazione. La fede che libera può essere, infatti, condivisa soltanto grazie a qualcuno che si rende disponibile a tale compito, assolutamente urgente e prioritario anche oggi. (dall'articolo di P. F. RAPACIOLI, Al servizio della fede, in “Mondo e Missione”, Ottobre 2013, p. 25-26.) ![]() Sono le quattro del mattino quando comincio a sentire il flauto di p. Peo. Il corpo protesta, vuole rimanere ancora nel sacco a pelo, ma la melodia ci spinge fuori: meglio alzarsi che star lì a sentire il nostro padre un po’ stonato. Ci si alza comunque di buon umore, rinfrancati dalla porzione giornaliera di cereali che, donati al PIME, sono da finire, ma sembrano infiniti. Alle cinque si comincia a camminare sotto le stelle, distinguendo soltanto lo zaino del compagno davanti. Poco dopo si cominciano a vedere alcuni altri, fino ai 45 che compongono il gruppo, e così appare la lunga fila che serpeggia per le colline. Quando il capofila raggiunge la linea dell’orizzonte, ormai di un sottile blu brillante, si vede la croce che seguiamo. C'è un profondo silenzio attorno, le stelle spariscono mute, intanto tutto sembra vibrare, e il mio cuore vibra insieme. Difficile descrivere quello che sento, sembra un incontro inaspettato con qualcosa che profuma d’infinito. Come seminarista ho fatto tanti ritiri, ascoltato tante testimonianze, ma questi in alcuni momenti della vita non riescono a smuovermi, come se io andassi alla deriva in un mare di tante parole. Qui è diverso, si sente Dio nel silenzio, nella profondità del panorama. "Il giorno al giorno ne affida il messaggio, e la notte alla notte ne trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono” recita il salmo 18. Arriva il sole e proseguiamo con gioia, chiacchierando cantando, condividendo la vita, salutando qualche contadino sorpreso nel vedere un gruppo così grande. Alcuni fanno un inchino alla croce che passa, altri ci chiedono dove andiamo, altri ancora ridono delle mutande appese allo zaino di un pellegrino che non era riuscito ad asciugarle il giorno prima. Così abbiamo camminato lungo i 350 chilometri che separano Minucciano da Assisi, in grande parte per la via Francigena. La meditazione del Vangelo ci presentava la figura di San Pietro e con lui immaginavo la salita a Gerusalemme, l’aspettativa dell’arrivo mischiata alla paura di ciò che loro avrebbero trovato nella Città Santa. Abbiamo anche letto le parole di Annalena Tonelli, missionaria laica in Kenya e Somalia. E poi le testimonianze di eremiti, frati, monaci e monache che ci hanno ospitati sono state di profonda spiritualità. Insomma, il pellegrinaggio si è rivelato una sorprendente esperienza di Dio, in diverse manifestazioni: nella bellezza dell’orizzonte, nella ricchezza dei carismi della Chiesa e nella profondità del cuore dell’altro con cui si divideva il cammino. Quello che un pellegrino desidera di più è arrivare alla meta, anche se noi la guardavamo con un po’ di tristezza, consapevoli che sarebbe coincisa con la fine del cammino e lo scioglimento del gruppo. In realtà il cammino continua, in quanto legati per quello che abbiamo vissuto. di Mateus Jansen Didonet (Studente dell'anno di Spiritualità, sua testimonianza dal pellegrinaggio estivo a piede da Minucciano ad Assisi) |
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Maggio 2023
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