Ciao, sono Amal e vengo dal Tamil Nadu, una regione nel sud dell’India. Abito in un villaggio. Nella nostra famiglia siamo in dieci. Ho cinque sorelle e due fratelli. Sono il più giovane di tutti. Nel nostro villaggio ci sono anche le altre religioni: Induismo, Islam, Buddismo e cosi via… Il nostro paese è un paese con molte culture, religioni e tradizioni. Il Natale in Tamil Nadu può essere definito come una festa globale, perché la gente proveniente da diverse caste e comunità si incontra per celebrare la nascita di Gesù con grande entusiasmo. Per prepararci al Natale imbianchiamo la casa e la decoriamo con l’albero di Natale e con luci a forma di stella sul tetto. Tutto appare più colorato e festoso. Inoltre, cuciniamo dolci e torte e condividiamo coi nostri vicini in un clima di gioia e amicizia. Natale è per noi una festa molto importante e un’occasione dove ognuno torna nella propria città d’origine per stare con gli amici e parenti. Nelle scuole Cristiane il Natale è accompagnato da vari eventi e recite sulla nascita di Gesù. Anche da noi, Babbo Natale è un personaggio molto atteso da tutti i bambini. A Natale le chiese sono ancora più belle decorate con luci, grosse stelle sul tetto e l’albero di Natale. A mezzanotte tutti noi ( anche le persone di altre religioni ) andiamo per la messa, indossando i vestiti nuovi. Durante la messa vengono cantate le canzoni di Natale per glorificare il Signore. Dopo la messa ci scambiamo gli auguri e i dolci in un clima di gioia, mentre il cielo è illuminato dai fuochi d’artificio. Il 25 Dicembre, dopo la messa della mattina si festeggia, si cucina e si condivide il cibo e i dolci con le persone che appartengono alle altre religioni. Questo fatto ha un significato molto bello, perché condividendo la nostra gioia in questo modo, manteniamo la tradizione. Per avere la gioia nel nostro cuore dobbiamo mettere Gesù al centro della nostra vita e in ogni attività che facciamo. Solo così la nostra celebrazione sarà ricca e la gioia del Natale sarà sparsa in tutto il mondo. Vi auguro Buon Natale e Felice Anno Nuovo.
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In occasione del cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, papa Francesco ha indetto il Giubileo straordinario della misericordia, che inizierà il prossimo 8 dicembre e terminerà il 20 novembre 2016. La misericordia è senz’altro un tema che condividiamo, oltre che con tutti i fratelli e le sorelle cristiani, anche con le grandi tradizioni monoteistiche: ebraismo e islam.
Uno dei passaggi dell’Antico Testamento dove più chiaramente Dio si rivela come il misericordioso si trova nel libro dell’Esodo, quando, in occasione della rinnovazione dell’alleanza dopo il peccato di Israele, si legge che il Signore passò davanti a Mosè proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà» (Esodo 34,6). La misericordia è inoltre tra i principali attributi di Allah («Dio»), il cui primo dei novantanove nomi è Ar-Rahman («Il Misericordioso»), e il secondo è Ar-Rahim, («Il Compassionevole»). La misericordia di Dio, che si rivela nella creazione del mondo e dell’essere umano, oltre che nel perdono dei suoi peccati, è dunque qualcosa di essenzialmente comune tra ebrei, cristiani e mussulmani. Se però andiamo un po’ a fondo di quest’affermazione, non possiamo non rilevare che ciò che certamente ci accomuna come figli di Abramo, ci distingue anche profondamente. Sappiamo che la condanna a morte di Gesù fu ultimamente causata alla sua pretesa di essere il “Figlio di Dio” (cfr. Gv 19,7; 10,33-36; Lc 22,70-71, ecc.), una bestemmia, per ebraismo e islam. In quest’ultima tradizione, pur essendo Gesù riconosciuto tra i profeti più grandi, si legge che «Allah è unico», «Non ha generato, non è stato generato e nessuno è uguale a Lui» (Corano XII:1-4). A Gesù, inoltre, pur venendo riconosciuti la nascita verginale da Maria e i numerosi miracoli, si nega la morte in croce e la risurrezione: «Hanno detto: “Abbiamo ucciso il Cristo, Gesù figlio di Maria, messaggero di Dio”, mentre né lo uccisero né lo crocifissero ma così parve a loro … ma Iddio lo innalzò a sé, e Dio è potente e saggio» (Corano IV:157-158). Per un ebreo e un mussulmano, la «pietra d’inciampo» è ultimamente proprio Gesù, non come uomo e profeta, ma come «Figlio di Dio» e «figlio dell’uomo»: «morto e risorto». Ma questo costituisce, per un cristiano, il cuore delle Scritture. Ha scritto C.M. Martini: «Non è mai esistito un cristianesimo primitivo che abbia affermato come primo messaggio: “amiamoci gli uni gli altri”, “siamo fratelli”, “Dio è padre di tutti”, ecc. Dal messaggio “Gesù ha patito, è morto ed è davvero risorto il terzo giorno” deriva tutto il resto». Un autentico incontro con persone di altre fedi non può prescindere dalla diversa interpretazione che si dà della persona di Gesù, della sua morte e risurrezione. Quello che costituisce la professione di fede cristiana è, agli occhi di un ebreo o un mussulmano, una «bestemmia», e ciò che è essenziale per la comprensione cristiana della persona di Gesù appare a loro «scandalo» e «follia» (cfr. 1 Cor 1,23-24). La misericordia è certamente qualcosa che ci accomuna come religioni monoteistiche, ma se per il cristiano essa passa necessariamente attraverso la pasqua di Gesù, per un ebreo o un mussulmano essa necessariamente ne prescinde. P. Francesco Rapacioli |
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Maggio 2023
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