La chiesa è illuminata dalle luci, i canti nuovi di Natale riempiono l’ambiente di gioia, le stelle di plastica sono poste sulle case, è un tripudio di sorrisi e giochi dei bambini. Il nostro villaggio è profumato e tutte le persone indossano i vestiti nuovi e portano candele tra le mani. Sta per cominciare la messa della vigilia di Natale.
Il Natale non è solamente la festa di un giorno, ma le celebrazioni iniziano già dal primo Dicembre con le decorazioni nella chiesa e con la preparazione del presepe. Gli uomini s’impegnano tanto per i lavori nella chiesa. Fanno le decorazioni durante la notte, perché tutti vanno a lavorare nei campi alla mattina e tornano solo alla sera. È con questo servizio di lavoro che iniziano un momento di festa. Mentre gli uomini lavorano nella chiesa, le donne imparano i nuovi canti per la messa del Natale. Il 17 Dicembre, con la novena, comincia anche la preparazione spirituale. La novena inizia alle ore 20 e finisce verso le 20,45. Subito dopo la novena gli uomini iniziano a lavorare e le donne imparano i nuovi canti. I lavori vanno avanti fino all’una o le due di notte. Alcuni preparano il caffè e la merenda per coloro che lavarono. La gioia dello stare insieme non si può descrivere. Le preparazioni a casa: Anche le pulizie a casa fanno parte di queste preparazioni. Si pulisce tutta la casa, è l’occasione per imbiancare le case, battere i materassi e per fare tutti quei lavori che si fanno una volta all’anno. Si prepara il presepe in casa, illuminato con le luci e si mette la stella sopra le case. Si va in città a fare la spesa sia per la cucina, sia per comprare i nuovi vestiti. Le mamme preparano i dolci almeno due settimane prima. La preparazione spirituale: Il 23 dicembre, la novena inizia alle ore 19 e dopo la novena la statua di Gesù bambino viene portata in ogni famiglia, accompagnata da un corteo che canta per le strade. In ogni famiglia, il sacerdote benedice la casa e il presepe con la benedizione di Gesù bambino. Tutti bambini si divertono a seguire il sacerdote mentre visita tutte le famiglie. Il 24 Dicembre, la vigilia di Natale, ci si raduna tutti insieme sul piazzale della chiesa a lavorare e a pulire la chiesa e a preparare l’ambiente. Si prepara anche la cucina per il pranzo di Natale. Le bandiere sono attaccate sulla strada in tutto il villaggio. Alla sera la festa comincia con la novena alle ore 18 e la musica riempie l’ambiente di tutto il villaggio fino alla messa di mezzanotte. La messa della vigilia inizia alle ore 23,30. È vissuta con molta gioia, con i canti nuovi e i vestiti nuovi. Dopo la messa il sacerdote e gli anziani del villaggio tagliano la torta e la distribuiscono alla gente. Vengono sparati i fuochi artifici. L’aria di festa va vanti fino alle 3 o 4 della mattina. Il 25 Dicembre, il giorno della di natale la messa inizia alle ore 8,30 e dopo la messa tutti vanno a casa a fare colazione. Alle 10,30 suona la campana per iniziare diversi giochi per i piccoli e anche per gli anziani per divertirsi insieme. Dopo i giochi si pranza tutti insieme nella casa parrocchiale come una comunità. Davanti al cancello della chiesa arrivano le bancarelle con tanti giocattoli per i bambini, i dolcetti e alcuni negozi vendono i braccialetti (bangles) per le ragazze. Al pomeriggio, davanti alla chiesa le suore vendono le candele, che servono per la processione. Tutti i cattolici e anche gli Induisti e i Musulmani, comprano queste candele e poi parteciperanno alla processione con la statua del bambino Gesù. La processione inizia alle ore 16,30 , dalla chiesa e passa per tutte le strade del villaggio. Si finisce nella piazza della chiesa, con l’adorazione davanti alla chiesa, perché la chiesa non basta per tutta la gente. Dopo l’adorazione, il sacerdote e le suore si mettono davanti all’altare. La gente offre le candele e ricevono la benedizione dal sacerdote e dalle suore. Prima di uscire dalla chiesa ci si ferma davanti al presepe a pregare e infine sulla piazza della chiesa c’è la premiazione dei giochi, per coloro che hanno partecipato e vinto i premi. I fuochi d’artificio illuminano il cielo del nostro villaggio mentre tutti tornano alle loro case. Dopo il Natale, per una settimana, fino al primo gennaio, tutti sono in vacanza. È un momento per trovare gli amici e divertirsi insieme, a volte facendo qualche gita. Il 31 Dicembre prima della messa i bambini ballano e cantano, poi la messa inizia alle 23,30 e dura fino all’una. Dopo la messa, come durante la festa di Natale, si taglia la torta e si sparano i fuochi artificio. Il primo gennaio, la messa è alle 9,30 e poi la sera si fa la processione con la statua della Madonna nel villaggio, dedicando tutta l’anno alla Madonna. Con questa celebrazione del Capodanno e con l’Epifania finisce anche la celebrazione del Natale. Ranjith Kumar
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"Dismissione dei luoghi di culto"![]() È il titolo del convegno indetto da Papa Francesco nella Pontificia Università Gregoriana il 29-30 novembre 2018. In sintesi il Papa, per far fronte ai bisogni di prima necessità dei poveri, in particolare al problema della fame nel mondo, ha proposto di vendere le chiese quando non sono più necessarie. Egli sostiene che i luoghi di culto (Chiese) e i beni ecclesiastici, rientrano fra quelle «cose» (res) che sono (o sono state) segni e strumenti per il culto e per l’evangelizzazione; essi non sono di valore assoluto e in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri: «La constatazione che molte chiese, fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero, o per una diversa distribuzione della popolazione nelle città e nelle zone rurali, va accolta nella Chiesa non con ansia, ma come un segno dei tempi che ci invita a una riflessione e ci impone un adattamento». Non è la prima volta che Papa Francesco propone di vendere le chiese; nel 2013 all’incontro con i vertici della Caritas Internationalis affermava: «Dovremmo vendere le Chiese per sfamare i poveri»; e come emerge dall’attuale documento, il Papa non è neanche il primo a dare questa indicazione; San Lorenzo martire vendette tutte le suppellettili del culto e distribuì ai poveri il ricavato, prima di lui San Giovanni Crisostomo vescovo fece la stessa cosa. Quello del Pontefice dunque non è un delirio pauperista, ma l’applicazione pratica dell’amore cristiano che Gesù ci ha insegnato attraverso il Vangelo. Credo sia un’indicazione importante che sollecita anche noi a riflettere sulla nostra fede e sulla nostra capacità di leggere i segni dei tempi, soprattutto in questo tempo di avvento. Forse questo orientamento di Papa Francesco ci suggerisce che la fede non ha luoghi prestabiliti o luoghi sacri e che i luoghi di una vera fede sono i luoghi dove abita un’umanità ferita, affamata e abbandonata, e nella misura in cui saremo capaci di spezzare di più il pane con coloro che non ce l’hanno piuttosto che in tante chiese ormai diventate inutili, allora sentiremo la forza viva delle espressioni di Gesù. Se il tempo dell’avvento, è il tempo di attesa di uno che deve venire, potremmo chiederci che cosa aspettiamo, o chi aspettiamo; aspettare il Natale significa aspettare gli ultimi, nei quali Dio si è identificato e per questo forse non lo riconosciamo perché ci siamo costruiti un Dio a nostra immagine, secondo come l’avevamo “pensato” e che abita nelle nostre chiese, mentre Dio è colui che chiede aiuto, affamato, ferito o abbandonato, colui che è nato come bambino, perché tutti potessero aiutarlo, e si è fatto “niente” perché tutti potessero dargli qualcosa. San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi dice: «Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Qui nasce l’amore: per arricchire gli altri non è necessario essere ricchi, cioè avere tanto da poterlo dare anche agli altri perché così sarebbe schiacciare gli altri. Se vuoi avere un rapporto, una comunicazione con l’altro devi diventare piccolo, povero. Dio viene ad abitare con noi, ma nasce nel silenzio. Nasce senza fare baccano. Nasce di nascosto… Scappa. Non ha preoccupazione di farsi una piazza, e quando arriverà qualcuno a costruirgli la piazza, scapperà, e rinascerà di nuovo, ricominciando da capo, nel silenzio. Abbandonando quel luogo dove si è fatto piazza, si è fatto Mauro Pazzi Seminarista della 3° Teologia Ciao a tutti, mi chiamo Éder de Souza Gomes Cordeiro, sono un seminarista del PIME, di seconda teologia, brasiliano e da un anno e dieci mesi sono in Italia. Vorrei condividere l’esperienza che ho vissuto questa estate con dei programmi proposti dal PIME per i giovani, il pellegrinaggio. Quest’anno abbiamo percorso la Via Francigena partendo da Milano verso Roma, in dieci tappe dai venti ai venticinque km massimo. Il tragitto più lungo è stato di trentadue km e il più corto sedici. Il percorso si è concluso a Roma, dove abbiamo fatto un incontro con Papa Francesco al Circo Massimo nel giorno di sabato, mentre la domenica siamo andati in Piazza San Pietro dopo la notte insonne. Ho scelto di fare l’esperienza del pellegrinaggio per accompagnare dei giovani in un percorso che propone di approfondire la fede e la vita verso Dio. L’equipe che ha partecipato al pellegrinaggio era formata da Padre Alessandro Motti, Padre Mario Ghezzi, la nostra guerriera Suor Paola Locatelli, la novizia Valeria Ducatelli, il seminarista Fel Catan e io, per la parte spirituale. L’equipe cucina era composta da Alessandro Navarro con sua moglie Anna e i suoi due figli Giovanni e Stefano, due bambini che erano la gioia del nostro gruppo. Insieme a loro hanno collaborato Angelo Dore, Gennaro e Jessica che, oltre ad aiutare in cucina, avevano l’impegno di accogliere i pellegrini alla fine di ogni percorso, facendoli sentire come a casa. Con il passare dei giorni mi sentivo come se fossi in mezzo a una grande famiglia. I ragazzi meriterebbero di essere nominati, ma così il testo sarebbe troppo lungo. Mi accontento di dire che sono delle vere perle preziose che Dio mi ha regalato, ognuno mi ha colpito per le proprie singolarità. Può sembrare una affermazione di una grossa emozione da parte mia... , lo è stato. Vivere un'esperienza come quella del pellegrinaggio cioé passare tre settimane con persone sconosciute che pian piano inizi a chiamare amico o fratello, è fare veramente un percorso di conversione. Le riflessioni, i momenti di preghiera, i silenzi e le condivisioni ci hanno fatto essere più vicini. Il tema proposto è stato la lettera di Papa Francesco <<Gaudete et Esultate>>, che presenta la strada per vivere la vita cristiana in modo più chiaro, alla sequela di Gesù Cristo. Il cuore del testo è la chiamata alla santità, in cui il Papa cerca di demistificare il pensiero comune che abbiamo proprio riguardo la santità. Ci mostra che la vocazione del battezzato, quindi essere un discepolo di Cristo che si riconosce come figlio di Dio che è Padre, è la chiamata ad essere santi, santi come Lui è santo. La traccia seguita da Papa Francesco è dimostrare che tutti noi siamo chiamati ad essere santi, ma non nel modo in cui normalmente pensiamo, come una cosa impossibile, come una strada solo per uomini e donne virtuose che hanno donato la vita al Signore. Papa Francesco dimostra che la santità è una scelta da fare, è l'identità dell’essere cristiano, che ognuno di noi può raggiungere nella quotidianità, nelle cose semplici che facciamo ogni giorno. Il pellegrinaggio richiede di uscire della nostra comfort zone, mettendoci in cammino, fissando delle tappe per raggiungere una destinazione, ma porta in sé anche delle difficoltà, stanchezze e ferite. Sono questi gli ostacoli che proprio il pellegrinaggio ci insegna a superare. Tutte queste vicende sono proprie della nostra vita. La metafora del pellegrinaggio simbolizza il cammino della nostra esistenza, e trovandovi la nostra storia personale, ci pone delle tappe da raggiungere, degli ostacoli da superare e soprattutto dei limiti da accettare. Alla fine, il pellegrinaggio è stato per me un'esperienza bella che, non solo mi ha fatto capire più in profondità la mia fede, ma soprattutto l’importanza della condivisione della vita con gli altri. Inoltre è stata un’occasione per rinnovare il mio sì alla vocazione cristiana, alla chiamata alla missione ad extra e al ministero ordinato. Il pellegrinaggio con le sue esigenze ci chiede sempre l’umiltà d’accettare i propri limiti e l’aiuto degli altri, e il coraggio di farci forti nei momenti in cui vogliamo desistere e guadare indietro. Ci insegna sempre a fare un passo avanti incontro al destino. Sono veramente grato al PIME (all’equipe organizzativa del pellegrinaggio e del gruppo cucina), ai giovani che hanno avuto il coraggio di fare questo percorso insieme a me. Da tutti loro ho imparato tanto, sono stati per me il vero volto di Dio che si fa amore, donandosi e condividendo tutto sé stesso per noi. Éder de Souza Gomes Cordeiro Seminarista della 2° Teologia “La storia del PIME nelle Filippine risulta bella e appassionante, ancorché complessa, proprio se letta con gli occhi della fede” Il Pontificio Istituto delle Missione Estere (PIME) è un istituto missionario nato a Milano per annunciare il Vangelo in tutto il mondo. Oggi il PIME è costituito da 450 missionari di vari nazionalità, presenti in 16 paesi del mondo. I missionari del PIME sono arrivati nelle Filippine il 6 dicembre 1968, quattro preti e un missionario laico.
Dagli inizi fino ad oggi il PIME ha lavorato e lavora nell'area metropolitana di Manila, nell'isola di Mindanao, e sull'isola di Antique. Lungo i cinquant’anni di storia la presenza del PIME è sempre stata motivata dall’attività pastorale, rispondendo alle richieste della Chiesa locale; L' impegno nel dialogo inter-reliogioso con l’islam, la dedizione alla causa dei tribali, la lotta in difesa dei loro diritti e delle loro terre. In questa nazione il PIME ha avuto tre missionari martiri: p. Tullio Favali (1985), p. Salvatore Carzedda (1992) e p. Fausto Tentorio (2011). E’ difficile contare il numero esatto dei missionari che, in terra filippina, sono stati rapiti (come nel caso di Luciano Benedetti nel 1998 e di Giancarlo Bossi nel 2007), minacciati di morte oppure costretti a cambiare residenza per un tempo più o meno lungo. Oggi i missionari impegnati nel Paese sono 16, più della metà dei quali sopra ai 60 anni di età. La presenza dell’Istituto si concentra in due aree: Manila e dintorni e Mindanao, la grande isola a Sud, dove il PIME è attivo prevalentemente in area rurale. Il 31 ottobre scorso, è avvenuta una grande celebrazione nella Diocesi di Kidapawan per ricordare i nostri martiri e per il 50° del PIME nelle Filippine. Durante la messa padre Ronnie Villamor, uno dei primi preti di Kidapawan, ordinato subito dopo l’uccisione di Tullio Favali, ha raccontato ai presenti, circa 500 persone provenienti dalle parrocchie servite dal PIME, come i missionari si siano adattati alle condizioni del luogo, mangiando quello che la gente mangiava, spostandosi come la gente si muoveva, a piedi, a cavallo o in moto, e adattandosi a vivere in condizioni considerate misere e marginali. Monsignor Bagaforo a descritto Padre Tullio come “Innocent, but willing” (Innocente, ma pronto al servizio)” e padre Fausto Tentorio “Humble but advocate” (Umile ma pronto a prendere le parti dei più deboli). Infine, molte parole di apprezzamento a padre Peter Geremia, instancabile difensore dei diritti umani soprattutto delle popolazioni indigene della Diocesi di Kidapawan; B’laang, B’laang e Manobo. La lunga celebrazione è finita con una piccola processione al cimitero dove sono seppelliti i preti di Kidapawan e i nostri padri Tullio e Fausto. |
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Maggio 2023
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