"Dismissione dei luoghi di culto"![]() È il titolo del convegno indetto da Papa Francesco nella Pontificia Università Gregoriana il 29-30 novembre 2018. In sintesi il Papa, per far fronte ai bisogni di prima necessità dei poveri, in particolare al problema della fame nel mondo, ha proposto di vendere le chiese quando non sono più necessarie. Egli sostiene che i luoghi di culto (Chiese) e i beni ecclesiastici, rientrano fra quelle «cose» (res) che sono (o sono state) segni e strumenti per il culto e per l’evangelizzazione; essi non sono di valore assoluto e in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri: «La constatazione che molte chiese, fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero, o per una diversa distribuzione della popolazione nelle città e nelle zone rurali, va accolta nella Chiesa non con ansia, ma come un segno dei tempi che ci invita a una riflessione e ci impone un adattamento». Non è la prima volta che Papa Francesco propone di vendere le chiese; nel 2013 all’incontro con i vertici della Caritas Internationalis affermava: «Dovremmo vendere le Chiese per sfamare i poveri»; e come emerge dall’attuale documento, il Papa non è neanche il primo a dare questa indicazione; San Lorenzo martire vendette tutte le suppellettili del culto e distribuì ai poveri il ricavato, prima di lui San Giovanni Crisostomo vescovo fece la stessa cosa. Quello del Pontefice dunque non è un delirio pauperista, ma l’applicazione pratica dell’amore cristiano che Gesù ci ha insegnato attraverso il Vangelo. Credo sia un’indicazione importante che sollecita anche noi a riflettere sulla nostra fede e sulla nostra capacità di leggere i segni dei tempi, soprattutto in questo tempo di avvento. Forse questo orientamento di Papa Francesco ci suggerisce che la fede non ha luoghi prestabiliti o luoghi sacri e che i luoghi di una vera fede sono i luoghi dove abita un’umanità ferita, affamata e abbandonata, e nella misura in cui saremo capaci di spezzare di più il pane con coloro che non ce l’hanno piuttosto che in tante chiese ormai diventate inutili, allora sentiremo la forza viva delle espressioni di Gesù. Se il tempo dell’avvento, è il tempo di attesa di uno che deve venire, potremmo chiederci che cosa aspettiamo, o chi aspettiamo; aspettare il Natale significa aspettare gli ultimi, nei quali Dio si è identificato e per questo forse non lo riconosciamo perché ci siamo costruiti un Dio a nostra immagine, secondo come l’avevamo “pensato” e che abita nelle nostre chiese, mentre Dio è colui che chiede aiuto, affamato, ferito o abbandonato, colui che è nato come bambino, perché tutti potessero aiutarlo, e si è fatto “niente” perché tutti potessero dargli qualcosa. San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi dice: «Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». Qui nasce l’amore: per arricchire gli altri non è necessario essere ricchi, cioè avere tanto da poterlo dare anche agli altri perché così sarebbe schiacciare gli altri. Se vuoi avere un rapporto, una comunicazione con l’altro devi diventare piccolo, povero. Dio viene ad abitare con noi, ma nasce nel silenzio. Nasce senza fare baccano. Nasce di nascosto… Scappa. Non ha preoccupazione di farsi una piazza, e quando arriverà qualcuno a costruirgli la piazza, scapperà, e rinascerà di nuovo, ricominciando da capo, nel silenzio. Abbandonando quel luogo dove si è fatto piazza, si è fatto Mauro Pazzi Seminarista della 3° Teologia
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Maggio 2023
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