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È bene per voi che io me ne vada

7/4/2018

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Tempo di quaresima e preparazione alla Pasqua

«E’ bene per voi che io me ne vada…», dice Gesù ai suoi discepoli, durante l’ultima cena (Gv 16,7), ed è una parte di quello che è chiamato il discorso dell’ultima cena, il discorso dell’amore, il discorso dell’addio, dal capitolo 14 al 17, e il capitolo 17 è una preghiera che Gesù fa al Padre per i suoi che dovranno rimanere e che rimarranno soli. La solitudine che Gesù sottolinea è una delle esperienze più difficili per i suoi discepoli, perché si sono sentiti abbandonati, e Gesù ha sottolineato questo disagio in cui gli apostoli si sarebbero venuti a trovare.
      Questa esperienza di abbandono terribile, è la nostra stessa esperienza man mano che approfondiamo l’esperienza dell’amore. L’amore ci porterà all’esperienza della più profonda solitudine. Questo totale abbandono è conseguenza del totale amore che Gesù ha avuto.
         Però verrà la speranza, il cambiamento, la trasformazione: «… se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore». Paràclitos, in greco, è uno dei nomi dello Spirito Santo, si tratta in origine di un termine del linguaggio giuridico che significava letteralmente "chiamato vicino", cui l'equivalente latino è l'ad-vocatus, cioè "avvocato", inteso come "difensore" o "soccorritore"; Dio è Colui che non lascia solo nessuno, e il gesto di andarsene da parte di Gesù è un dono per gli apostoli, è l’occasione per mezzo della quale essi possono rinascere e crescere nell’amore.
         «Quando me ne sarò andato ve lo manderò», la consegna dello Spirito Santo ai discepoli, accade nel vangelo di Giovanni, durante l’apparizione narrata in 20,22, nella cosiddetta pentecoste giovannea, dove Gesù «alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”». Gesù, siccome se ne è andato, e ha donato il suo Spirito ai suoi amici, ha lasciato a noi (suoi amici), la responsabilità di essere i consolatori, cioè di non lasciare solo nessuno, di essere vicino a chi è solo, di fare delle nostre mani le mani di Dio, del nostro volto il volto di Dio, del nostro spezzarci e donarci il suo spezzarsi e donarsi.
        Quando riusciremo a fare un gesto di questo genere, quando saremo accanto a chi è indifeso, quando ci saremo immedesimati e saremo diventati un tutt’uno con il più debole, allora capiremo chi è il Paraclito, il Consolatore; il mistero di Dio non viene capito attraverso la filosofia e la teologia, ma attraverso l’identificazione con Gesù che soffre, che muore, che risorge. È obbligatorio? No, se te la senti. Dio non calcola, Dio non ci farà pagare niente finché non saremo in un atteggiamento di amore. Non ci chiederà niente, non dobbiamo aver paura. Finché la nostra rinuncia a qualche cosa la sentiremo come un peso, Dio non ci farà rinunciare neppure a uno spillo.
          «E’ bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò», in 11 hanno creduto a Gesù, hanno preso sul serio questa responsabilità ed hanno sconvolto il mondo, forse noi aspettiamo che lo facciano gli altri; tante volte la chiesa riesce a ripetere l’esperienza di Gesù, ma a volte diventa lei stessa mondo, spesso non c’è nessuna differenza tra chi si dice cristiano e chi dice: «a me non interessa».
         Allora la partenza di Gesù dal mondo diventa un segno caratteristico della resurrezione (cfr Lc 24, 13-35 i discepoli di Emmaus); ogni amore per diventare adulto ha bisogno di separazioni. Non esiste amore adulto che non abbia fatto l’esperienza della separazione. Il vero amore è sempre un amore distaccato. Gesù deve lasciarci perché venga riscoperto nella fede e riconosciuto in ogni fratello che incontreremo nel nostro cammino. Solamente occhi di amico possono vedere Gesù. Solamente occhi di amante possono vedere Dio. Chi non ama, gli può passare anche Dio davanti come un tuono, non lo riconoscerà.

Mauro Pazzi (2ª Teologia)

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