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PASQUA E MISERICORDIA

7/12/2015

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In occasione del cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, papa Francesco ha indetto il Giubileo straordinario della misericordia, che inizierà il prossimo 8 dicembre e terminerà il 20 novembre 2016. La misericordia è senz’altro un tema che condividiamo, oltre che con tutti i fratelli e le sorelle cristiani, anche con le grandi tradizioni monoteistiche: ebraismo e islam.

Uno dei passaggi dell’Antico Testamento dove più chiaramente Dio si rivela come il misericordioso si trova nel libro dell’Esodo, quando, in occasione della rinnovazione dell’alleanza dopo il peccato di Israele, si legge che il Signore passò davanti a Mosè proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà» (Esodo 34,6). La misericordia è inoltre tra i principali attributi di Allah («Dio»), il cui primo dei novantanove nomi è Ar-Rahman («Il Misericordioso»), e il secondo è Ar-Rahim, («Il Compassionevole»).

La misericordia di Dio, che si rivela nella creazione del mondo e dell’essere umano, oltre che nel perdono dei suoi peccati, è dunque qualcosa di essenzialmente comune tra ebrei, cristiani e mussulmani. Se però andiamo un po’ a fondo di quest’affermazione, non possiamo non rilevare che ciò che certamente ci accomuna come figli di Abramo, ci distingue anche profondamente.

Sappiamo che la condanna a morte di Gesù fu ultimamente causata alla sua pretesa di essere il “Figlio di Dio” (cfr. Gv 19,7; 10,33-36; Lc 22,70-71, ecc.), una bestemmia, per ebraismo e islam. In quest’ultima tradizione, pur essendo Gesù riconosciuto tra i profeti più grandi, si legge che «Allah è unico», «Non ha generato, non è stato generato e nessuno è uguale a Lui» (Corano XII:1-4). A Gesù, inoltre, pur venendo riconosciuti la nascita verginale da Maria e i numerosi miracoli, si nega la morte in croce e la risurrezione: «Hanno detto: “Abbiamo ucciso il Cristo, Gesù figlio di Maria, messaggero di Dio”, mentre né lo uccisero né lo crocifissero ma così parve a loro … ma Iddio lo innalzò a sé, e Dio è potente e saggio» (Corano IV:157-158).

Per un ebreo e un mussulmano, la «pietra d’inciampo» è ultimamente proprio Gesù, non come uomo e profeta, ma come «Figlio di Dio» e «figlio dell’uomo»: «morto e risorto». Ma questo costituisce, per un cristiano, il cuore delle Scritture. Ha scritto C.M. Martini: «Non è mai esistito un cristianesimo primitivo che abbia affermato come primo messaggio: “amiamoci gli uni gli altri”, “siamo fratelli”, “Dio è padre di tutti”, ecc. Dal messaggio “Gesù ha patito, è morto ed è davvero risorto il terzo giorno” deriva tutto il resto».

Un autentico incontro con persone di altre fedi non può prescindere dalla diversa interpretazione che si dà della persona di Gesù, della sua morte e risurrezione. Quello che costituisce la professione di fede cristiana è, agli occhi di un ebreo o un mussulmano, una «bestemmia», e ciò che è essenziale per la comprensione cristiana della persona di Gesù appare a loro «scandalo» e «follia» (cfr. 1 Cor 1,23-24).

La misericordia è certamente qualcosa che ci accomuna come religioni monoteistiche, ma se per il cristiano essa passa necessariamente attraverso la pasqua di Gesù, per un ebreo o un mussulmano essa necessariamente ne prescinde.

P. Francesco Rapacioli
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