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28/9/2013

Perché sono qua al campo?

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“Qual è la ragione e il motivo perché sei venuto qua al campo di lavoro”. Appena arrivato alla casa del PIME a Busto nel pomeriggio del 21 Agosto, una ragazza bionda Italiana mi ha posto  subito questa domanda e mi sono spaventato. Vedendomi basso, piccolo e straniero aveva magari dubbi sulla mia capacità di lavorare. Sono rimasto senza  parole non perché non sia abituato a parlare ad una bella ragazza ma perché non avevo e  non ho portato con  me la vera ragione e il profondo motivo perché  desiderassi lavorare al campo. Avevo un grande desiderio di vivere questa esperienza  per non rimanere in seminario tutta l’estate come si fosse un monaco disperato come dicevano gli altri seminaristi, ma solo perché avevo un desiderio di lavorare e basta. Tuttavia questo motivo non mi bastava  non era sufficiente.

Lei aveva ragione e mi ha fatto capire che non cè nulla a caso nella vita. Giorno dopo giorno fino alla fine del campo cercavo dentro di me la risposta a questa domanda. Cercavo in  ogni  momento e in ogni  opportunità di approfondire e purificare un pochino il mio motivo. Mi aspettavo che in qualche momento  germogliasse dentro di me la risposta ma  non era cosi facile. Ogni giorno del campo di lavoro mi metteva proprio in crisi perché la sicurezza dello stare in seminario incontra la realtà fuori. Una realtà che è diversa da ciò che io vivo dentro le mura del seminario. Una realtà che è capace  di ferire il mio cuore e purificare la mia capacità umana di incontrare  e conoscere diverse persone in modo più profondo. C’era giorno dopo giorno da pensare profondamente.  Come dice l’inno del campo di lavoro” oggi è tempo di darsi da fare, giorni interi e notti lì a pensare, a qual è il modo per migliorare questa vita e il tempo che deve venire…..”

                Era il tempo di mia crisi profonda. Il “tempo che deve venire” come dice l’inno. Il tempo dello scontro tra due realtà diverse che chiedeva la mia capacità umana di affrontarlo e di abbracciarlo con piena conoscenza. Provavo a mettermi in gioco durante il tempo di lavoro, della condivisione, e di tutto per poter poi condividere coi miei compagni la gioia, fatica e dolore. Le ragazze hanno riempito il mio letto di libri per scherzare e loro ridevano. Ridevamo dei tanti scherzi e eravamo tristi perché i giorni del campo di lavoro stava per finire. Scherzavo, piangevo e ridevo con  i giovani e  gli anziani e cercavo di mettere nelle parole tutto ciò che era dentro nel mio cuore  per poter scoprire la bellezza della vita condivisa. Il  nostro lavoro era a volte pesante e più leggero, spostare mobili e lavorare con il ferro con alcuni delle cose che facevamo. Durante la giornata trovavamo anche spazio per la preghiera, per chiacchierare e condividere. È vero che il lavoro era pesante ma non ho mai sentito qualcuno che si lamentasse  della sua pesantezza. Non vedevamo Il nostro lavoro come un peso  ma come un dono e l’opportunità di incontrare e di conoscere le persone in modo più vicino e profondo  sia coloro che erano intorno  a noi ma anche quelli al di là del campo del PIME, come le famiglie da dove che ci donavamo  le loro cose.

Dopo aver vissuto questa bellissima esperienza  sento che  qualcosa  è cambiato  e sta cambiando ancora dentro di me e nel mio cuore. Non dimenticherò mai questa esperienza e le persone che ho conosciuto qualunque strada percorrerò. Ora non ho trovato ancora la giusta risposta della domanda della bella ragazza, le sto cercando ancora e chiedo sempre a me stesso la stessa domanda” perché io sono qua al campo?”.



- Evar Ortega, 
Seminarista PIME
Prima Teologia

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