Seminario Teologico Internazionale PIME
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Vivere la crisi : Conversione e Speranza

7/4/2020

 

    Ci troviamo in un venerdì lungo, in una quaresima autentica, dove non ci sarebbe bisogno di necessità liturgiche per vedere paramenti da lutto ogni giorno. Questo venerdì ha la potenza tale di guastare i cuori come quella di convertirli. 
    Li guasta perché annebbia lo sguardo e non permettere di distinguere sempre tra carità ed egoismo. Se sto in casa è perché tengo solo alla mia salute o perché riconosco che un posto in più occupato in ospedale può condannare qualcuno? La paura dell’altro ci rimarrà attaccata addosso anche dopo? 
      È possibile fare le stesse scelte con motivazioni diverse, e quindi dando significati diversi ai nostri gesti e alle nostre azioni. È questione di cuore. Sappiamo solo noi se la nostra paura di contagiarci sia una gelosia della nostra salute o il timore di far del male a qualcun altro. Una porta un cancello un muro oggi sono necessari. Sono necessari per farci capire anche quanto una vita di relazioni impaurite e monche sia una vita a metà! Sono necessari perché un giorno vorremo aprire queste porte, scavalcare questi cancelli ed abbattere questi muri. Ma l’uomo ha una fantasia incredibile e anche in questi giorni cerca in ogni modo l’altro, il suo volto il suo sguardo, forse anche per dirsi che le cose non vanno bene, oppure per assurdo che “andrà tutto bene”. Ma se questo venerdì è così lungo da guastarci il cuore ci aspetta un sabato altrettanto impegnativo.
 
   Ma questo venerdì ha anche la possibilità di convertire. Convertire e farci girare lo sguardo verso la domenica. Questi mesi sono chiamati a diventare la pietra miliare nella memoria storica ed educativa di tanti di noi. La più grande responsabilità che abbiamo in questa situazione sarà, oltre che “rimanere a casa”, anche quella di fare memoria, riflettere, ritornare sugli avvenimenti di questi giorni cercando di capire cosa ci dicono di noi, cosa ci chiedono per gli altri cosa ci chiedono di fare o di non fare.  Vietato archiviare. 
      Non esiste biblioteca giusta per le storie di questi giorni. Non esiste scaffale sufficientemente robusto per sostenere il diario di queste settimane. Troppo grande il rischio che della polvere ci si depositi sopra. È da tenere aperto sulla scrivania della vita, per essere letto e sfogliato le volte che in futuro ci sentiremo disorientati e sconfitti. Non è un dovere è un’esigenza d’amore, quello asciutto, quello secco, senza fronzoli, ma autentico. È lecito sperare anche di venerdì aspettando il profumo della domenica.

                                                                             Diacono Ivan STRAFACE 

Quale fede in tempo di pandemia?

30/3/2020

 
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha dichiarato la pandemia per il coronavirus: significa che ha riconosciuto che il virus è ormai diffuso in buona parte del mondo.
Evidentemente questa emergenza sta cambiando profondamente le nostre vite.
Si tratta di una crisi per molti aspetti nuova, spiazzante e sconcertante, che investe per la prima volta in questa forma anche il nostro mondo ricco e industrializzato. Le notizie, oltre a parlare di contagi e di morti, parlano di quasi tre milioni di italiani a rischio fame e di perdite di ricavi economici quantificabili in diciotto miliardi di euro.
In ogni luogo e in ogni contesto si discute solamente di queste cose.
E anche qui, nel seminario del PIME le discussioni vertono su questi temi.
In generale, percepiamo una certa tensione in quanto facciamo fatica a dare una lettura «evangelica» degli avvenimenti riportati. Il confronto in nome di Dio è difficile, a volte ambiguo, qualcuno diventa dogmatico, rigido, qualcun altro è più disorientato e si domanda: «ma è proprio vero che Dio è onnipotente?», perché questo male sembra sovrastarci, quasi come un incubo…
È sempre difficile di fronte al dolore e alla sofferenza trovare delle risposte adeguate.
Forse di fronte alla realtà profonda della vita e della morte, l’unico atteggiamento autentico è il silenzio. Entrare nel silenzio significa entrare nel mistero di Dio: mistero di morte per la vita, mistero di buio per la luce, mistero di fatica per la gioia, mistero di angoscia per raggiungere la pace.
Certo, di fronte alla sofferenza o alla morte di un amico, o di una persona cui siamo particolarmente legati non riusciamo più a eludere gli interrogativi che sorgono dentro di noi con prepotenza: perché questo evento incomprensibile, così assurdo, scandaloso? Perché Dio, chiunque egli sia, conduce o abbandona gli uomini alla morte?
Spesso gli interrogativi rimangono senza risposta, e le morti di ogni giorno rimangono davanti a noi come un dato di fatto che siamo costretti a riconoscere.
Dio… se lo chiamiamo in causa, dobbiamo innanzitutto fare una premessa, necessaria per comprendere non solo la morte, ma anche la vita, ogni morte e ogni vita: le valutazioni di Dio non sono mai le nostre valutazioni, la giustizia di Dio non è mai da identificare con la nostra giustizia, le vie di Dio non sono mai le nostre vie.
Se leggiamo il Vangelo e guardiamo alla vicenda di Gesù sembra che egli non sia venuto a risolvere i problemi del mondo, e non ha neanche mai detto di fare questo. È invece venuto per stare insieme a quelli che hanno problemi, non per risolverli, ma per starci accanto.
Un antico racconto di un incontro con Dio da parte di un uomo si trova nel libro dell’Esodo: «Mosè disse: Come si saprà che ho trovato grazia ai tuoi occhi (…) se non nel fatto che tu cammini con noi?» (Esodo 33, 14-23).
Dio non risolve i problemi, sta accanto solamente. Per noi l’importante è risolvere i problemi, con o senza Dio. Che si ami o non si ami non importa; per Dio è il contrario.
Gesù, l’Emmanuele (Dio con noi), non ha cancellato la morte o il dolore, ma ha portato la speranza nella morte e nel dolore. Cioè non ha tolto la durezza della vita, ha eliminato la fatalità: se Dio è con noi, non è più un caso la sofferenza e la morte, non è più un caso la vita, la mia vita, la nostra vita, ma è una realtà in cui posso sperare, in cui posso continuare.
La fede, anche in questo tempo di pandemia, è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede (Ebrei 11,1)
Gesù è diventato il fondamento di questa speranza, e lo è diventato con la sua passione morte e resurrezione, mistero pasquale grazie al quale io posso continuare a sperare.
A mio parere probabilmente non ha molto senso parlare di Dio, ma è forse più giusto parlare a Dio, come è più giusto non tanto parlare della vita, ma parlare alla vita, o alla morte.
Per capire il senso di queste drammatiche vicende credo sia necessario andare al di là di esse. Per capire il senso della vita e della morte è necessario andare al di là della vita e della morte.
E nell’apertura alla morte è possibile intravedere la vita nuova di Dio.
Perché tutto questo non fosse troppo difficile per noi, Dio ha scelto di annientare se stesso e diventare uomo come noi. Da allora, il luogo privilegiato della manifestazione del divino è proprio il luogo della debolezza dell’umanità.
Di fronte al silenzio della morte, non siamo soli.
I testi della Scrittura, in particolare quelli sulla «fine», ci invitano a riconoscere i segni di una nuova vita in quelli che sembrano soltanto segni di distruzione.
Nei segni di morte dobbiamo imparare a leggere preziose indicazioni per la vita.
                                       
​                                                Mauro PAZZI, diacono

Un cuore grato, abitato dallo Spirito in vista della missione

27/5/2019

 


Vorrei condividere la mia gioia per avere partecipato al 63° Convegno Missionario Nazionale dei Seminaristi, svoltosi a Firenze dal 2 a 5 maggio 2019 dal titolo “Lo Spirito Santo protagonista dell’evangelizzazione”. È stata questa una bella occasione di riflessione, dibattito e discussione sulla missione in Italia e in tutta la Chiesa.
Per me è stata un'emozione grande partecipare a questo Convegno, perché mi ha fatto ricordare l'anno 2010, quando ho partecipato al 1° Convegno Missionario Nazionale dei seminaristi del Brasile a Brasilia, offerto dalla Pontificia Opera Missionaria. Lì ho scoperto un volto della Chiesa che non conoscevo.  Questo evento mi ha fatto conoscere per la prima volta la possibilità di essere missionario “ad gentes”. La mia vita è stata toccata in modo tanto profondo e significativo che è cambiata. In quell'occasione ho conosciuto tante congregazioni e istituti missionari, e in modo particolare ho sentito una testimonianza di un padre che parlava del PIME, l'Istituto dove mi trovo attualmente, e della sequela Christi in mezzo alla gente.
Per questa ragione partecipare a questo convegno missionario è stato qualcosa di speciale, ossia ha rafforzato e rinnovamento in me il desiderio per la missione. Adesso con una conoscenza maggiore di P. Paolo Manna e del PIME, posso dire che l'esperienza che mi ha provocato nel 2010, oggi si rinnova con la partecipazione a questo convegno: sento con forza che si tratta di un'azione di Dio nella mia vita. Mi fa inoltre pensare a come la mano di Dio mi abbia sostenuto. Questa è la prova che lo Spirito soffia dove vuole. Lo vediamo anche nell'ispirazione di P. Paolo Manna nel XX secolo di fondare la Pontificia Unione del Clero, punto di riferimento della formazione missionaria, i cui frutti rimangono fino ad oggi in modo tanto concreto. Esco da questo convegno con il cuore pieno di gratitudine per aver potuto condividere un po' dell'esperienza comunitaria internazionale del PIME, che pone al centro una formazione missionaria “ad gentes”, “ad extra”, “ad vitam” e “insieme”. Qualche volta penso alla missione come a un sogno, mi sembra lontano, ma  percepisco che Dio agisce nel cammino passo dopo passo, fino a condurmi alla meta. L’avere partecipato a questo convegno è stato molto più che un desiderio dei formatori, ma l'azione di Dio per mezzo loro. Per questo sono grato.
Il Convegno ha mi portato a una maggior conoscenza e comprensione della chiesa locale, ed è servito come provocazione verso l'apertura universale a cui ogni diocesi è tenuta, ricordando il monito di P. Paolo Manna: “Tutta la chiesa per tutto il mondo”. Così tutti: seminaristi, formatori e preti sono chiamati a vivere il senso di chiesa missionaria in uscita. Abitati dal fuoco dello Spirito tutti siamo chiamati ad annunciare la buona novella di Gesù nel nostro tempo. Lo Spirito ci spinga a partire con il desiderio di santità e ad andare nel mondo per percepirvi già la presenza amorosa di Dio per ogni persona.

                                                                                       Alan DUARTE

P. Alfredo CREMONESI

5/5/2019

 
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Un Martire per il nostro tempo

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“Noi missionari non siamo davvero nulla. Il nostro è il più misterioso e meraviglioso lavoro che sia dato all’uomo non di compiere, ma di vedere: scorgere delle anime che si convertono è un miracolo più grande di ogni miracolo”. (padre Alfredo Cremonesi)
 
           l Pime avrà presto un nuovo beato. E sarà il quarto dei diciannove martiri dell’istituto a salire alla gloria degli altari. Papa Francesco ha infatti autorizzato la promulgazione del decreto che riconosce il martirio di padre Alfredo Cremonesi, missionario del Pime1, ucciso nel 1953 in Birmania (oggi Myanmar). La diocesi di Crema, la Chiesa locale di cui era originario, ha già annunciato che la beatificazione si terrà nell’ottobre 2019, durante il mese missionario straordinario voluto da papa Francesco. Nella famiglia dei santi e dei beati del Pime, andrà ad affiancarsi a sant'Alberico Crescitelli e ai beati Giovanni Battista Mazzucconi, Paolo Manna, Clemente Vismara e Mario Vergara.
               Quella di padre Alfredo Cremonesi è un'altra storia di santità che vede intrecciarsi le vicende del Pime con quelle della Chiesa del Myanmar. Il nuovo futuro beato era nato il 15 maggio 1902 a Ripalta Guerina (Cremona). Affetto fin da giovane da gravi problemi di salute affidò a santa Teresa del Bambino Gesù la sua vocazione alla vita missionaria. Ordinato sacerdote il 12 ottobre 1924 l’anno successivo partì in nave da Genova con destinazione la Birmania, dove resterà per tutta la vita.
           Nella diocesi di Taungoo gli fu affidato Donoku, un villaggio sperduto tra i monti, da dove partiva per le sue spedizioni tra villaggi pagani e cattolici. «Vi dico il vero – scriveva – molte volte mi sono sorpreso a piangere come un bambino, al pensiero di tanto bene da fare e alla mia assoluta miseria, che mi immobilizza, e non una volta sola, schiacciato sotto il peso dello scoraggiamento, ho chiesto al Signore che era meglio mi facesse morire piuttosto che essere un operaio così forzatamente inattivo». Eppure, proprio nel suo rapporto d’intimità profonda con Dio, trovava la forza per andare avanti.
             Nel 1941, in piena Seconda guerra mondiale, gli inglesi internarono i missionari nei campi di concentramento in India, eccetto i sei «anziani» presenti da più di dieci anni. Tra questi c’era padre Cremonesi, che rimase tra la sua gente ancora più solo e privo di ogni cosa. Dopo l’8 settembre 1943 fu poi la volta delle violenze e delle umiliazioni da parte dei soldati giapponesi: «Fummo derubati di tutto – ricordava -. Non ci avanzò neppure una gallina».



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Ogni passo ti porta avanti

17/2/2019

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         Sono Dominic e sono qui per farvi partecipare alla grande “gioia” che ho provato nel ricevere dal Vescovo Emerito di Vanimo, in Papua Nuova Guinea, il Ministero dell'Accolitato.
      Se sono arrivato a questo punto, devo ringraziare i miei amati genitori, i miei formatori, i miei amici, la Parrocchia di Sovico con il suo Parroco e i sacerdoti della comunità pastorale, le suore e tutti gli animatori.
      Domenica 17 febbraio nella Parrocchia di San Gerardo al Corpo, a Monza, io e altri nove miei compagni di classe, provenienti da cinque Paesi diversi, siamo diventati ACCOLITI. Il Ministero dell'Accolitato è il secondo passo significativo per il mio cammino verso il sacerdozio, al quale mi sento di essere stato chiamato dal Signore.
     Io e i miei compagni Accoliti, abbiamo scelto per rappresentarci, una frase che abbiamo ritenuto importante da mettere sul nostro biglietto di presentazione: “Lo diede ai discepoli dicendo prendete” (Mt 26,26) tenendo presenti tre componenti essenziali: amare, condividere, seguire. Conoscendo il Cristo in ogni momento della mia vita, condividendo il suo amore in mezzo ai fratelli, io mi sento di seguirlo.
     Tanti mi hanno chiesto cosa significa essere un Accolito ed io posso dire che i principali uffici a cui sono stato chiamato sono questi: curare il servizio dell'altare, aiutare il sacerdote e i diaconi nelle azioni liturgiche, soprattutto durante la Santa Messa e distribuire la Santa Comunione, come ministro straordinario. Nella vita pastorale devo aiutare il parroco nell'attenzione verso i deboli e gli ammalati.
       Il Vescovo Emerito, monsignor Cesare Bonivento, missionario del PIME in Papua Nuova Guinea, rivolgendosi a noi Accoliti, durante la Santa Messa, ad uno ad uno ha rivolto questa preghiera della consegna del pane: “ricevi il vassoio con il pane per la celebrazione dell'Eucarestia e la tua vita sia degna del servizio alla mensa del Signore e della Chiesa”. In queste parole sono contenuti tutti e tre gli aspetti che ogni Accolito deve tenere ben presenti: l'Eucarestia è al centro della sua vita; l'Eucarestia è il suo vero pane quotidiano; nell'Eucarestia Gesù si sacrifica per ognuno di noi e rimane con noi sempre. Queste raccomandazioni resteranno continuamente nel mio cuore.
       Domenica 17 febbraio è stata una giornata di grande gioia, per me e per i miei compagni di classe, che non dimenticheremo mai. E' stato fatto un bellissimo servizio in una chiesa addobbata alla grande, con un coro spettacolare, con canti e letture in lingue originali, che hanno ricordato ai tantissimi partecipanti alla messa le nostre origini e l'universalità della Chiesa.
          Ringrazio di modo speciale al don Giuseppe Manzoni e alla Parrocchia Cristo Re di Sovico che mi siete stati vicini, tante preghiere che mi aiutano a crescere nella Fede e nella Carità. Grazie ancora a tutti per l'affetto, l'amicizia, la vicinanza e soprattutto per la preghiera.

                                                                                                                       Dominic Richard Dafader
                                                                                                                     
Seminarista della 2° Teologia

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