Mercoledì, 18 novembre. Ore 5.00. «Pronto?» «Ciao. Sono Fabrizio. Hanno sparato a Piero». La notizia ha fatto il giro del mondo, insieme a una fotografia scattata da qualcuno immediatamente dopo l’attentato giustamente non fatta circolare dai mezzi di comunicazione sociale, e un video che riprende p. Piero nell’ospedale dove è stato ricoverato prima di essere trasferito da un elicottero militare nell’ospedale di Dhaka.
Sono le 8.15 circa, ora locale. P. Piero sta percorrendo una strada secondaria non lontano dalla missione nella città di Dinajpur per recarsi a visitare un malato all’ospedale universitario. Qualche settimana prima e a seguito dell’uccisione del cooperante italiano Tavella e di un altro volontario giapponese, la polizia aveva detto a tutti i missionari di stare attenti. In particolare, aveva detto a p. Piero di evitare di andare in bicicletta, mezzo che egli usa ordinariamente per spostarsi, e di non percorrere le stesse strade. P. Piero obbedisce, anche se dopo qualche settimana, quando la tensione sembra diminuire, ricomincia a muoversi, pur con la dovuta cautela e attenzione. La dinamica non è ancora del tutto chiara, ma sembra che qualcuno gli si sia affiancato dal lato destro con una motocicletta, sparandogli con un’arma alla testa. Piero è crollato sull’asfalto e fortunatamente è stato ritenuto morto dal killer. La caduta è rovinosa, procurandogli fratture al volto, alla mandibola, alla testa e al torace, ma miracolosamente il proiettile che lo colpisce al collo, non lede alcun organo vitale: né la testa né il midollo spinale. In un tweet lo Stato Islamico rivendica l’attentato del «crociato italiano Piero Parolari», anche se Mario Palma, ambasciatore italiano in Bangladesh, afferma «di non credere all’ipotesi di una serie di attacchi organizzati dall’Isis» quanto «al tentativo di seminare il caos in queste ore di attesa del verdetto contro due politici dell’opposizione accusati di crimini contro l’umanità». La polizia, nel frattempo, sembra aver arrestato alcune persone e chiede ai missionari di rimanere in casa uscendo solo sotto scorta. Scontro tra partiti o Isis? Movente politico o terrorismo internazionale? Sono domande alle quali forse si riuscirà a rispondere nel tempo, senza escludere che l’attentato a p. Parolari sia una combinazione di terrorismo che si rifà allo Stato islamico e uno scontro interno, dove un partito all’opposizione è il Jamaat-e-Islami, partito religioso radicale che si prefigge, come d’altronde altrove, l’imposizione della sharia nel paese. P. Piero è fuori pericolo di vita e in queste ore si sta organizzando il suo rientro in Italia per cure. Il confratello delle cinque di mattina, p. Fabrizio Calegari, concludeva la telefonata con queste parole: «Hanno sparato al più mite tra noi». È vero: p. Piero, medico e presbitero del PIME, è un uomo pacato, buono, tranquillo, che ha fatto della cura dei pazienti poveri di qualsiasi fede la propria missione. Insieme a p. Zanchi, un altro confratello del PIME ed ex superiore generale, ha fondato a Rajshahi un centro per la cura dei malati di tubercolosi, apprezzato da tutti per la professionalità e il servizio nei confronti di chiunque abbia bisogno di cure. Con i fatti recenti accaduti a Parigi e in Mali, c’è la percezione diffusa di essere sotto assedio: c’è un nemico invisibile che può attaccarci da un momento all’altro senza preavviso. Vedere mezzi blindati e presenza massiccia di militari in città come Bruxelles o Roma, pur rassicurandoci da una parte ci inquieta dall’altra perché ci ricorda che siamo coinvolti in uno scontro certamente non convenzionale ma assolutamente reale. A questo proposito, mi sembra una distinzione molto importante quella di chi è impegnato nell’offensiva contro lo Stato islamico, dai presidenti Obama e Hollande al primo ministro Renzi, che la lotta al terrorismo non è una guerra all’Islam, che non si tratta di uno scontro tra civiltà, e che le prime vittime dell’Isis sono proprio coloro che bussano in Europa in cerca di lavoro e di un futuro migliore. Se a questa precisazione si aggiunge che alcuni mussulmani, certamente ancora pochi, ma più di un tempo, scendono in piazza a dissociarsi da quello che avviene nel nome di Allah, anche se certamente ancora debole, si tratta senza dubbio di un buon segnale. Occorre dunque difenderci dai terroristi, com’è necessario difendere interi paesi islamici dalla loro furia distruttiva, senza cadere però in due tentazioni che decreterebbero la nostra sconfitta: la paura e l’odio. Rivendicando la responsabilità degli attentati dell’11 marzo 2004 a Madrid, i terroristi di Al Qaeda in un video avevamo affermato: «Voi amate la vita, noi amiamo la morte: per questo siamo più forti e vinceremo». Non è vero; anzi è vero il contrario: proprio perché i terroristi non vogliono ultimamente neppure imporre la legge islamica, ma distruggere e autodistruggersi, non potranno vincere. A patto di non lasciarci trascinare nella loro stessa logica di odio e di morte, nella convinzione che saranno proprio l’amore e la vita a trionfare e ad avere la meglio! Nell’Angelus del 15 novembre dopo gli attentati di Parigi, papa Francesco ha detto senza mezze misure che «La strada della violenza e dell’odio non risolve i problemi dell’umanità e che utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strada è una bestemmia». Un Dio di questo genere non è il Dio vivente, ma un idolo a immagine e somiglianza nostra. P. Piero, attraverso il servizio nei confronti dei più deboli e indifesi, mostra un altro volto di Dio: un Dio “capovolto” secondo gli schemi e i desideri mondani. Scrive Paolo: «Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio» (cfr. 1 Cor 1,23-24). Ecco l’autentico volto di Dio: la misericordia e l’amore fino all’annientamento, fino alla debolezza e alla follia della croce! La «buona notizia», il Vangelo, è destinato a tutti, per cui, oltre a testimoniarlo, come fa p. Piero, attraverso il servizio disinteressato nei confronti dei poveri a prescindere dal colore della pelle e dal loro credo, occorre continuare a credere nel sogno della pace, nonostante l’odio e il caos che chi semina il terrore vorrebbe imporre. Senza dimenticare che il fondamento ultimo della pace e della giustizia non può che trovarsi nella follia e nella debolezza di un Messia morto e risorto per tutti noi, il cui annuncio deve essere offerto a tutti, inclusi i fratelli e le sorelle mussulmani, a prescindere dalla loro accoglienza o rifiuto. L’Avvento che inizia e il prossimo Natale ci ricordano che è possibile vivere con una logica diversa da quella del mondo, è possibile non lasciarci determinare dall’odio e dalla sopraffazione. Questo tempo, oltre a rafforzare la nostra speranza ci spinga a un maggiore impegno per la giustizia e per la pace che Cristo ha portato sulla terra. P. Francesco Rapacioli. Monza, 26 novembre 2015
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