Seminario Teologico Internazionale PIME
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Éder Souza Gomes Cordeiro

10/1/2021

 

Una vocazione condivisa

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Mi chiamo Éder Souza Gomes Cordeiro, sono brasiliano, vengo da sud del Brasile più precisamente dallo stato di Paraná e la mia città di provenienza si chiama Sertanópolis localizzata al nord dello stato confinante con lo stato di São Paulo. È una città agricola, con circa sedici mila abitanti. Vengo da una famiglia formata da sette persone, sono il più grande di cinque figli, tre maschi e due femmine, ho 36 anni, sono diacono da 5 mesi e aspetto ansiosamente alla mia futura missione che mi verrà comunicata a Marzo alla festa di san Giuseppe.
            In modo particolare la mia parrocchia di origine: Paróquia Santa Terezinha (Santa Teresa di Gesù Bambino) è legata con la storia del PIME in Brasile, è una delle prime parrocchie affidata all’Istituto intorno al 1950, pochi anni dopo dell’arrivo dei missionari del Pime in terra brasiliana.
            Posso dire che io sono un frutto dell’impegno e dell’amore missionario di tanti preti dell’Istituto che sono passati a Sertanópolis. Non posso dimenticare tre sacerdoti in particolare, p. Adriano Scorzato che mi ha catechizzato, p. Antonio Turra che è stato molti anni nella mia parrocchia, con cui ho avuto molto contatto, ed è stato l’ultimo sacerdote del PIME nella mia comunità, e infine p. Benedito Libano che è stato il mio primo animatore vocazionale, portandomi alla casa di animazione a Ibiporã dove si trova anche la casa di riposo per i nostri missionari, come la casa di Rancio di Lecco.
            Sono cresciuto in questo ambiente missionario, dove tutti i sacerdoti venivano dall’estero, e immaginavo che tutti i preti fossero stranieri e che per forza dovessero fare i missionari. Quando ero piccolo avevo sempre questa idea nella mia mente: prete uguale missione, e questo pensiero è sempre stato presente dentro di me, da piccolo a circa dieci anni di età, volevo diventare un sacerdote e missionario come loro.
            Crescendo, durante la mia giovinezza, tale idea nella infanzia mi è un può calata, ma non spenta, la “chiamata” al sacerdozio e alla vita missionaria è sempre stata presente, come una piccola fiamma nel cuore. Con l’età di 17 anni sono stato ammesso nel seminario Filosofico del PIME, nell’anno di 2004, rimanendo lì per due anni, e sono stati una grande scuola di vita, avendo come direttore spirituale il Vescovo attuale in Brasile nella diocesi di Santo Amaro a São Paulo, Mons. Giuseppe Negri, e come rettore della casa p. Aleandro Castrese, due uomini in cui ho potuto vedere l’esempio dell’amore alla missione e al sacerdozio. Ero troppo immaturo in quell’epoca, non avevo ancora chiaro cosa volevo veramente per il mio futuro e questo mi spaventava e alla fine dell’anno di 2005 a dicembre, concluso il primo anno di filosofia a Brusche, nello stato di Santa Catarina, ho fatto ritorno a casa, dove sono rimasto per 10 anni, per poi ritornare in seminario nell’anno 2015.


Sulla mia vocazione in cui oggi esercito il diaconato e presto come sacerdote missionario, mi sento debitore verso questi missionari che sono passati nella mia vita come veri testimoni e hanno lasciato il segno di Cristo dentro il mio cuore. Non posso dimenticare la testimonianza di fede dei miei genitori, come esempio dell’amore di Dio a me e ai miei fratelli e sorelle fino oggi.
Dopo essere stato ammesso al seminario di Teologia di Monza e quindi dover lasciare il mio paese e la mia famiglia per 5 anni, i miei genitori mi hanno espresso quello che hanno sempre desiderato: hanno sempre sognato che uno dei loro figli diventasse religioso o religiosa, consacrato a Dio e alla Chiesa. Con questa esperienza sono convinto della importanza che c’è la presenza e la fede della famiglia per le vocazioni, la famiglia ha il suo posto fondamentale nel “sì” di ogni giovane che sente la chiamata alla vita consacrata. La famiglia diventa sostegno del candidato alla vita religiosa quando offrono con il cuore a Dio la loro preghiera per la vocazione e della realizzazione del figlio o della figlia.
Oggi, a quattro mesi dalla fine del mio periodo di formazione in seminario Teologico e con l’avvicinarsi  della partenza per la missione per tutta la vita, mi sento di ringraziare  tutti quelli che hanno contributo alla mia formazione, alle parrocchie in cui ho svolto il mio apostolato in questi anni: Beata Vergine Assunta a Seggiano e Sant’Ambroggio a Cinisello, in cui mi sono sentito accolto e come a casa, sono debitore per l’esperienza di Chiesa in Italia, e grato anche per l’approfondimento nella fede.
Per finire, il segno più bello è soprattutto condividere questa strada vocazionale. La formazione teologica del PIME ci offre una esperienza particolare, siamo una comunità che riunisce a sé ragazzi di vare nazionalità, promuovendo una esperienza culturale ricchissima che aiuta nella scelta di una vita missionaria, anche per l’aspetto della fede che viene arricchita quando siamo aperti ad accogliere il nuovo e il diverso.
La cosa più bella è quando condividiamo questa strada vocazionale e i nostri sogni con qualcun altro, ed esprimo la mia gratitudine nell’avere come direttore spirituale p. Giuseppe Marchesi, dove mi ha sempre la sua semplicità mi è sempre stato d’ aiuto, dal Brasile nella formazione nel seminario filosofico, fino oggi nel seminario Teologico.
Raccontare un può di me in queste poche righe mi fa comprendere quanto è importante riconoscere quanto sia ricca la nostra vita, riconosco che la mia vocazione non è stata mai solo mia, ma è una vocazione condivisa, partita dalla testimonianza familiare che mi hanno dato la fede, poi dai missionari che hanno testimoniato Cristo a casa mia, e soprattutto da ogni persona che con il loro sorriso  o con il loro pianto e preghiere, sono state partecipi della mia vita. Sento che la mia vocazione non è solo mia, ma appartiene ad ogni compagno di strada in seminario e delle comunità in cui ho vissuto e condiviso la mia vita di seminarista e di cristiano.
     

                                     Éder Souza Gomes Cordeiro,                                                        Diacono

Santhosh Somireddypalli

30/11/2020

 
                                  La storia dell’incontro con Cristo
Mi chiamo Santhosh Somireddypalli e vengo dall’India (diocesi di Kadapa).
Mi piacerebbe condividere con voi la gioia della mia vocazione.
La vocazione è una chiamata e una risposta: la storia dell’incontro con Cristo. In un momento particolare della vita, Gesù chiama ad uscire dal proprio progetto personale per assumere il suo progetto.
Quando ero un ragazzo, mentre frequentavo la scuola sotto la guida di alcuni preti diocesani, vedevo il loro servizio, l’amore, la generosità, la dedizione e soprattutto il loro dare la vita per gli altri, e dentro di me cresceva la chiamata a vivere la loro stessa vocazione. Da qui, è nato in me il desiderio di diventare come loro, per testimoniare, con la mia vita, la vita di Gesù nel servizio degli altri. Quindi nel 2007 sono entrato nel seminario del PIME e, dopo una lunga formazione in India, nel 2016 sono venuto in Italia, a Monza, per lo studio della teologia. Oggi frequento il quarto anno di teologia, in vista del sacerdozio missionario nel PIME.

“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, ma se muore, produce molto frutto”.   È questo un brano che ben esprime il significato della mia vocazione. Il chicco di grano è innanzitutto Gesù stesso. Come il chicco di grano egli è caduto in terra, e attraverso i suoi insegnamenti, la sua passione, morte e risurrezione ha portato frutti abbondanti. Questa immagine del piccolo seme mi aiuta anche a capire me stesso e il senso della mia vita, che è quello di diventare come Gesù, vivendo nel servizio come Lui. E Gesù mi dona di potere vivere la vita in modo bello, facendomi capire e mettere in pratica l’amore di Dio soprattutto verso i più piccoli e i più bisognosi, nei quali il Signore si identifica.
Nel villaggio da dove vengo, fino a nove anni fa non c’era ancora una Chiesa per pregare e celebrare l’Eucaristia, quindi riuscivo a partecipare alla Messa solo alla domenica nella chiesa principale e per arrivarci dovevo addirittura prendere una specie di taxi perché era lontana, e alla sera rientravo a casa tardi. Mi mancava quindi quella intima relazione con Gesù che possiamo vivere attraverso la comunione quotidiana con il suo Corpo. Ringrazio Dio perché oggi c’è una piccola cappella, dove vengono addirittura anche alcuni induisti per pregare insieme con noi. 
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Qui in Seminario, ogni volta che partecipo all’Eucaristia quotidiana, sento che essa tocca la mia vita. La celebrazione eucaristica mi dona forza per vivere poi in comunione con gli altri, cercando il loro bene. Tutto questo mi dona gioia e consolazione per continuare il mio cammino verso Dio e verso il prossimo, mi dona la capacità di vivere insieme agli altri cosi come Gesù vive con tutti noi. Ho capito che il mistero di Dio non può essere scoperto nelle cose del “mondo”, ma solo in Gesù che soffre, muore e risorge. Nella persona di Gesù possiamo vedere tutta la bellezza e la purezza di vivere per gli altri: il suo amore per noi ci permette di fare tutto quello che Lui ha fatto, seguire tutto quello che Lui ha insegnato con la sua stessa vita. Infatti seguire Gesù Cristo significa farsi suoi discepoli, spogliando se stessi come Lui spogliò se stesso.

Ringraziando Dio, il 26 Settembre scorso, sono stato ordinato diacono nel Duomo di Milano insieme con i miei compagni di classe. In quel giorno ho pronunciato il mio         ‘SI’ dinanzi alla Chiesa che è madre e che ha riconosciuto in me, senza merito, i segni di una autentica vocazione al sacerdozio.
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Infine vorrei cogliere questa opportunità per ringraziare tutte le persone che mi hanno accompagnato nel mio cammino fin dall’inizio della mia formazione. Rimaniamo uniti nella preghiera, soprattutto in questo momento di pandemia. Affidiamoci al Signore Gesù Cristo, perché sia sempre in mezzo a noi, venga in nostro aiuto in questo tempo di sofferenza e così possiamo sperimentare ancora una volta il suo amore che guarisce.

                                                                                                                                                   Santhosh Somireddypalli   
                                                                                                                                                    Quarto Anno di Teologia    

Sravan Kumar Koya

21/9/2019

 

Una testimonianza vera e bella della mia vita

       Sono Sravan Kumar Koya provengo da un villaggio si chiama Mall, Bheemanapalli, nella provincia di Nalgonda, India. Quest’anno è molto importante e definitivo nella mia vita. Vorrei presentarmi un po’ la mia vita di fede e il mio cammino nel PIME.
      Partirò con la mia famiglia. Ho una sorella maggiore già sposata. I miei vivano una vita semplice e spirituale. Loro sono il primo esempio della fede per me e mi hanno fatto vedere il vero senso della vita, frequentano la chiesa nei momenti di preghiera e durante il rosario. Questo è un piccolo gesto per definire l’inizio della mia fede in Gesù.
       Quando avevo sette anni sono entrato nell’ostello e nella scuola cattolica dove ho studiato per otto anni. Direi che in questo tempo ho imparato tante cose, anzitutto la dimensione della preghiera, ogni giorno avevamo la messa, a volte pregavamo rosario o facevamo la condivisione della Parola di Dio. La dimensione della  disciplina è forte in questa scuola.
         Guardando i preti diocesani e il loro servizio, ho avuto un grande desiderio di diventare prete e servire le persone nel bisogno. Però ho avuto un dubbio che quale vocazione  devo scegliere? La vocazione di diocesano? O la vocazione di Missionario? In questa confusione, è arrivato p. Ravi Thanaiah del PIME e mi ha invitato ad partecipare di un campo del PIME.
             Ho fatto una settimana di campo con PIME e mi ha piaciuto tantissimo. Cosi sono entrato nel seminario del PIME ad Eluru. Quando sono entrato avevo quattordici anni. Primo anno ho imparato inglese per motivi di studio. Attraverso la testimonianza dei vari missionari che sono venuti a trovarci mi hanno fatto scoprire  il vero senso del servizio ai poveri, cioè la vita missionaria con i poveri.
            Dopo orientazione sono andato a Hyderabad per due anni di Intermediate studies. Dopo mi hanno chiesto di fare l’università a Trichy (Tamil Nadu) e qui mi sono laureato in inglese. Dopo questi primi sei anni in seminario  mi sono trovato contento in questo cammino di fede perciò ho scelto di andare avanti, per due anni ho studiato la filosofia e poi un anno la spiritualità dopo di che ho fatto un anno di esperienza coi bambini di strada a Benguluru. Quest’esperienza coi bambini era la mia prima esperienza missionaria e questa è stata a desiderare di gioire e così anche soffrire per i poveri.
            Dopo questi dieci anni in India mi hanno chiesto di andare in Italia per la Teologia. Prima della partenza per l’Italia ho fatto la  promessa iniziale. Ora da quattro anni mi trovo in Italia. Per concludere la mia piccola testimonianza direi che in questi quattordici anni nella formazione sono rimasto proprio felice.
       Per me il vero servizio ai poveri parte dalle convinzioni personali. Sono convinto che questa vita voglio donare al Signore nel fare la sua volontà. Vi richiedo di pregare per me perché’ il 28 settembre mi ordinano come un diacono nel Duomo di Milano. Vi ringrazio davvero per questa opportunità ad esprimere il mio cammino di fede in questi quattordici anni nella formazione.

Dall’Italia per il mondo

6/6/2019

 
Dall’oratorio alla missione, passando attraverso grandi scelte e ottime motivazioni. Il racconto di Alessandro Canali e Alessandro Maraschi, i due seminaristi italiani del Pime che sabato 8 giugno verranno ordinati sacerdoti in duomo a Milano

Quando, alla Tuttinsieme del 2012, annunciarono ai giovani radunati al Santuario della Madonna del Bosco che sarebbero entrati entrambi in seminario, il sottoscritto era presente. Un coro di sospiri si è immediatamente levato dal pubblico femminile; il commento più sussurrato era: «Che spreco!» in tutte le sue varianti, la più azzeccata delle quali resta: «Il Signore si prende sempre i migliori». Il fatto è che – e penso di poterlo dire senza destare scandalo dato che è ben risaputo – i soggetti in questione sono due giovanotti di bella presenza, entrambi di 28 anni, entrambi di nome Alessandro, entrambi novelli padri del Pime, che saranno ordinati sacerdoti l’8 giugno nel Duomo di Milano dall’arcivescovo Mario Delpini insieme ai nuove preti dall”arcidiocesi (mentre nelle prossime settimane anche altri quattro nuovi missionari del PIME- tre indiani e un birmano- riceveranno l’ordinazione nelle loro comunità).
Le ragazze avrebbero dovuto capire che la strada del matrimonio non faceva per loro due. Almeno per quanto riguarda Alessandro Canali, predisposto al sacerdozio anche solo per il fatto di essere nato e cresciuto a Valmadrera, paese in provincia di Lecco che ha dato i natali a molti e molto noti missionari del Pime. «La mia formazione di giovane all’interno della Chiesa è stata proprio un classico. Oratorio, e­du­­­catore e poi altre esperienze, tra cui Giovani e Missione, che mi hanno fatto fare alcuni incontri significativi. Sono stati proprio questi a farmi scegliere di andare più in profondità per capire quale fosse il modo più bello di spendere la mia vita».
Per Alessandro Maraschi, invece, l’ingresso in seminario non era così scontato. Originario di Rogoredo, periferia di Milano, lui in parrocchia non ci voleva andare. «È stato il mio parroco a ripescarmi e a insistere finché l’oratorio non è diventato la mia seconda casa. Il mio stile è sempre stato quello di collezionare belle esperienze e fare l’educatore rientrava nella categoria. Insieme al corso di teatro, all’atletica, alla fidanzata…». E poi? «Semplicemente, mi sono accorto che avevo tanti mattoncini, ma non avevo costruito nulla. Una specie di minestra di ingredienti buoni, ma messi insieme senza seguire una ricetta. Nulla era orientato verso qualcosa che avesse un nome, una vocazione. A metà dell’università mi sono reso conto che senza questo uno non può essere felice, così ho iniziato il cammino di discernimento del Pime e sono arrivato di fronte a una scelta inderogabile e profonda».
Come funziona questa famosa “vocazione”? «Il problema è tutto nello spazio che diamo agli altri, uno spazio che per noi è pericoloso perché li dentro l’altro può anche farci del male. Solo che non possiamo non lasciarglielo, o ci chiudiamo in noi stessi condannandoci alla solitudine e all’infelicità. Arrivare, come è successo a me, al momento di dover dare questo spazio è una grazia. Mi sono trovato di fronte a questa sproporzione, in cui mi era chiesto di fidarmi e di aprirmi totalmente; la scelta per me era tra l’amare una donna nel matrimonio o il Signore nel sa­cerdozio. Puoi fare tante esperienze bellissime e avere tutto quello che vuoi, ma alla fine le domande sono sempre quelle: chi ami? Da chi ti senti amato? Arrivato a quel punto avevo chiaro che non si può essere amatoriali nell’amare, è una cosa che si può fare solo bene. Così ho deciso di fidarmi della relazione col Signore, che per me era diventata la più importante».
Ma a questo punto sorge una domanda: perché proprio missionari? Lo spiega Alessandro Canali: «Durante il mio percorso di discernimento mi sono accorto che l’incontro con i missionari del Pime era diventato sempre più centrale, perciò da subito mi sono orientato verso il sacerdo­zio con il carisma del Pime nel cuore. Poi, durante il seminario, l’elemento della missionarietà è diventato sempre più importante. Mi ha colpito una frase del beato Vismara: “Fiorisci dove sei piantato”. Ho capito che la famiglia e gli amici sono un dono che mi è stato fatto perché io possa essere sradicato, ripiantato da un’altra parte e fiorire anche lì. E poi i racconti dei missionari, che fanno dell’incontro con il diverso il cardine della loro vita, mi hanno sempre ispirato».
È il fascino dell’esotico che non lascia mai indifferenti. Proprio per questo chiedo a Canali un’ulteriore spiegazione. Non si può essere “trapiantati” anche senza essere missionari, incontrando l’altro e facendo del bene senza essere sacerdoti, semplicemente viaggiando? «Sì, ma questo esotismo è più un hobby. Il passaggio di qualità da passatempo a missione lo fa fare  Gesù e nient’altro. Non potremmo costruire la nostra vita su un hobby, nessuno lo farebbe. Quello che ci spinge, invece, è l’esperienza di sentirci amati e inviati, un’esperienza fatta nelle relazio­ni con gli altri e nella preghiera. E quando approfondisci capisci che in questa relazione con Gesù puoi davvero investire, che in lui la tua vita ha davvero senso».
 Dei due “Alessandri”, solo uno verrà inviato subito in missione. Alessandro Canali rimarrà in Italia, inserito nella comunità del Pime di Milano, per lavorare nell’animazione missionaria con i giovani. «I prossimi anni saranno utilissimi per prendere le misure della mia nuova vita da sacerdote. Già in seminario ho capito che le relazioni sono la cosa più importante: ti mettono in gioco, ti aiutano a scoprire te stesso. Vivrò in relazione con tanti giovani e questa sarà un’occasione per crescere ancora. Ma l’opportunità più grande sarà quella di cominciare, sin da subito, ad essere ponte tra la Chiesa locale di Milano e le missioni». Alessandro Maraschi invece è atteso in Messico. Non sa ancora di preciso dove, ma gli hanno detto di iniziare a studiare il mixteco. «Per me la missione è ancora tutta desiderio e aspettativa», dice. «Sono contento di andare in un posto dove le persone sono accoglienti e dove c’è bisogno del Vangelo per combattere tanta violenza. Quello che mi auguro è di poterci stare a lungo, perché lì il Pime è piccolo e fra­gile. E spero di essere uno dei famosi “pochi ma buoni”».
A entrambi gli “Alessandri” ho chiesto cosa ne pensassero del fatto che dopo di loro in seminario restano solo due italiani. «Questa è un’ansia che non ci appartiene», hanno risposto. «L’importante è che il Pime continui la sua opera con serietà e umanità. Certo che speriamo che entrino altri italiani, ma solo perché potremmo meglio condividere con loro la grandezza di questa esperienza. Per il resto, le vocazioni sono nelle mani dello Spirito: ci fidiamo di lui, che chiama da dove non ci si aspetta».

testo dal Sito Mondo e Missione : https://www.mondoemissione.it/giugno-luglio-2019/dallitalia-per-il-mondo/?fbclid=IwAR3li9VoKNKtPrdyFuBsq6l2uT3zJm1TFHVv08cfI8DgPqzMlZA-MWnEFxw

Benedito Junior Lima de Medeiros

12/5/2019

 

La nostra vita è come un libro, nel quale, ogni giorno, scriviamo delle pagine che ci aiutano a ricordare il passato, a vivere meglio il presente e a sognare il futuro.

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   In questa prospettiva vorrei condividere, attraverso questo racconto, alcune pagine della mia vita. Se si dovesse fare un indice del mio libro, penso che fino a questo momento avrei scritto almeno tre capitoli.
     Dunque, mi chiamo Benedito Junior Lima de Medeiros, sono brasiliano,  faccio il 1° anno di Teologia e da 2017 abito nel Seminario Teologico Internazionale a Monza.
       Nel primo capitolo racconterei la mia infanzia. Sono nato in Almeirim, un paesino nel cuore dell’Amazzonia, sopra una collina che ha ai suoi piedi il Rio degli Amazzoni. Vengo da una famiglia cattolica che partecipa attivamente della comunità attraverso i vari servizi pastorali. Con l’aiuto dei miei genitori e dei miei nonni ho imparato da bambino ad amare Dio e a vivere con gli altri.
       Pensavo già da piccolo di fare qualcosa che mi desse la possibilità di aiutare gli altri: diventare insegnante, o medico, oppure prete. Prima di finire le superiori ho condiviso con il prete del mio paese il desiderio di entrare nel seminario della diocesi, ma non avendo finito ancora gli studi mi ha chiesto di aspettare.
        In quel periodo, ho ricevuto l’invito di una zia per trasferirmi in città affinché avessi la possibilità di finire gli studi e prepararmi meglio all’università. E qui comincia il secondo capitolo del mio libro, dove cambia la prospettiva e il contesto. Mi sono trasferito a Santana, nello stato dell’Amapà, dove ho finito gli studi e ho frequentato l`università per diventare infermiere. Nell’università ho fatto varie esperienze: di assistenza sanitaria, ricerca e insegnamento attraverso vari progetti.
       Tra le esperienze che mi hanno molto aiutato nel mio cammino vocazionale ricordo le visite che facevo, con altri compagni, nei villaggi per portare medicine, fare delle conferenze di prevenzione di malattie ed esami sanitari. In quella realtà, ho visto che le persone avevano una carenza non soltanto di carattere sociale, ma anche religioso, perché il prete poteva visitare le comunità soltanto una volta all’anno causa la distanza.
      Alla fine del corso, oltre lavorare nell’assistenza sanitaria sono diventato professore dell’università svolgendo corsi di salute. Le varie attività di lavoro hanno ridotto la mia partecipazione attiva nella comunità e ho dovuto lasciare la catechesi, i gruppi dei giovani, le attività missionarie. Il lavoro occupava tutto il mio tempo e la mia vita.
      Nonostante mi piacesse l’idea di costituire una bella famiglia, avere un buon lavoro sapevo che questo non sarebbe stato il cammino che mi avrebbe fatto felice. Sentivo che qualcosa mi mancava. Dopo una lunga riflessione, aiutato da un amico, padre Brusadelli del PIME responsabile di una casa di accoglienza per gli anziani e malati a Santana, ho scoperto che Dio mi chiamava a diventare non soltanto sacerdote donando tuta la mia vita per amore, ma mi invitava a donarla senza misura diventando missionario fino agli estremi confini della terra.
     Bastava soltanto io mio Si, che non era facile dare perché implicava lasciare tutto quello che avevo costruito fino allora per andare in posti che non conoscevo, lasciare la famiglia per incontrare persone sconosciute. Mi mancava solo di fare un voto di fiducia in Dio, e nel missionario che mi diceva e dimostrava d’essere felice.
        Se nella mia regione esistono tante difficoltà di assistenza sociale e spirituale, p. Luigi Brusadelli mi ha fatto conoscere luoghi e situazioni , dove ci sono maggiori difficoltà e sofferenze. La lettura della rivista Mondo e Missão (Mondo e Missione brasiliano), attraverso il racconto delle vicende dei missionari del PIME sparsi nel mondo mi ha offerto una conoscenza ancor più approfondita di bisogni di molti nostri fratelli. Ho scoperto che anch’io ero in grado di aiutare e portare primo l’amore attraverso il messaggio del Vangelo, e che avendo l’amore per sé stesso e per gli altri, tutte le altre difficoltà sarebbero state risolte.
     Questo discernimento mi ha fatto vedere che la missione non è soltanto una questione di necessità, perché anche nella regione in cui vivevo ce n’erano, ma di solidarietà con chi ha maggior urgenza di bisogno.  
          Il terzo capitolo della mia storia inizia col la decisione di entrare in seminario per diventare un prete missionario. Ancora una volta ho dovuto cambiare contesto e prospettiva di vita. Sono andato primo al sud dal Brasile, a Brusque, per compiere gli studi filosofici (2014), quindi in Italia per gli studi teologici, e qui mi trovo da due anni e mezzo.
          Qui ho avuto l’opportunità di fare un discernimento più approfondito dell’invito che Dio mi fa, non soltanto di essere sacerdote rendendo la mia vita disponibile alla Sua volontà e al servizio degli altri, ma di servire come missionario dove Lui vuole.
      Tante sono state le difficoltà nel mio cammino, dalla morte di mio fratello alla malattia della mia mamma, che mi hanno fatto ripensare varie volte la mia vocazione. Ma sempre con l’aiuto dei miei formatori, in particolare del mio padre Spirituale, alla fine ho costatato che tutto si risolve quando cerchiamo di essere felici e fare gli altri felici, e che la felicità la troviamo soltanto in Gesù, attraverso la sua vita e il suo messaggio che si riassume nell'amore.
           Nonostante le mie varie limitazioni, debolezze e difficoltà, chiedo sempre al Signore di aiutarmi a essere testimone del suo messaggio affinché io possa camminare con Lui e insieme a Lui continuare scrivere la mia storia, secondo il progetto originale di Dio. E per questo mi affido alla Grazia di Dio e alle vostre preghiere. 

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