Chi mi aspetta nella missione? ![]() Durante la festa dell’ordinazione diaconale in seminario, i seminaristi hanno organizzato un gioco con i nuovi diaconi. Il gioco era molto semplice. Consisteva in questo: noi diaconi potevamo estrarre un biglietto da un cesto. I biglietti recavano scritti i nomi delle nostre missioni. Siccome tutto il nostro percorso formativo è orientato alle missioni estere, la destinazione delle missioni è il momento tanto atteso e più desiderato e pieno di sentimenti per tutti noi. I fratelli seminaristi volevano simulare questo momento delle destinazioni, per discernere le quali di solito si vivono tanti colloqui con i superiori, con la simpatica creatività di un solo biglietto! Insomma la missione è stata tirata a sorte!! Il risultato di questo gioco è accettare qualsiasi nome della missione estratto: quello sarebbe stato il suo futuro. A seconda del nome estratto, gli organizzatori ponevano delle domande a cui rispondere. Io ero primo nella fila. Toccava a me estrarre un biglietto. L’ho estratto. L’ho aperto. C’era scritto Giappone! L’ho mostrato a tutti presenti con un po’ di perplessità. E così mi facevano la prima domanda: “Allora cosa ti aspetta in Giappone?” La mia risposta era: “Non lo so!” Uno dei presenti mi suggeriva: “Sushi, sushi!!”. Così tutti noi giocavamo, divertiti. Ma, uno dei diaconi alla domanda: “Cosa ti aspetta nella missione?” ha risposto immediatamente: La gente mi aspetta!” Quando l’ho sentito, mi sono vergognato un poco di non aver risposto come lui, però nello stesso tempo a me sembrava che la sua risposta non fosse sufficiente. Il gioco è finito. Ma io continuo a pensare a questa domanda: “Cosa mi aspetta nella missione?” Se la risposta è: “La gente mi aspetta”, allora vuole dire che non ci sarebbero tante persecuzioni subite dai cristiani, alle quali soprattutto i missionari si sottopongono e che in questi 2000 anni tutto il mondo sarebbe stato evangelizzato!! La risposta alla domanda: “Cosa mi aspetta nella missione?”, l’ho trovata nell’enciclica di Papa Francesco, “Fratelli tutti”. È Gesù Cristo stesso che mi aspetta nella missione. Io vado in una terra di missione ad incontrare Gesù Cristo che è già presente in quegli abitanti, in quel popolo, nella cultura e nei costumi, nelle tradizioni e nelle religioni. Partiamo per la missione da Lui, con Lui e a Lui. Solo così, si trova il senso della missione, delle fatiche e delle sofferenze nella missione.
Io ho ricevuto la mia prima destinazione il 19 marzo 2021. È un servizio all’istituto. Vado in India, il mio paese di origine, in un seminario minore come vice rettore. Ci son circa 50 – 60 seminaristi adolescenti. Dopo questo mandato che durerà dai 3 ai 5 anni, i superiori mi affideranno un altro mandato probabilmente in una terra di missione. Partirò per l’india il 18 giugno 2021. L’ordinazione presbiterale si terrà presso la mia parrocchia di origine, in India, probabilmente nel mese di agosto. In settembre assumerò il mio primo incarico in “Queen of Apostles Seminary”, Eluru, India. E prego insieme al Papa, per tutti noi cristiani, perché il Signore “conceda a noi cristiani di vivere il Vangelo e di riconoscere Cristo in ogni essere umano, per vederlo crocifisso nelle angosce degli abbandonati e dei dimenticati di questo mondo e risorto in ogni fratello che si rialza in piedi” (Fratelli Tutti). Bhaskar Roton MURMU “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” Gv15,13 ![]() Mi chiamo Roton Murmu vengo dal Bangladesh. Sono seminarista diocesano dalla diocesi di Dinajpur e frequento il secondo anno di teologia nel seminario del Pime a Monza. Sono contento di poter condividere con voi la gioia di essere ammesso al rito di ammissione per i candidati al diaconato e al presbiterato. Mercoledì della settimana santa farò la vestizione in seminario, durante la celebrazione dell’Eucaristia. Per me l’abito, pur essendo qualcosa di esterno, è allo stesso tempo segno di riconoscimento molto importante che mi spinge a mettermi ancora di più al servizio del Vangelo e di ogni persona. Il dono che riceverò mi mette in sintonia con il gesto che Gesù fa, il giovedì santo ai suoi discepoli “Gesù si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto” (Gv 13,4s). Con questo Gesù mi chiama ad essere servo. Mediante il battesimo tutti siamo chiamati al servizio degli altri. Questa è la nostra vocazione. San Paolo nella lettera ai Galati 3,26-27 dice “Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo”. Ringrazio davvero di cuore soprattutto il Signore che mi ha dato la vita e mi ha chiamato, nonostante la mia debolezza e fragilità, a servirlo da vicino visto che la vestizione è un passo in avanti verso il diaconato e il presbiterato. Ricordo i miei genitori, i formatori del seminario, il vescovo della mia diocesi, i sacerdoti, i parenti, gli insegnanti e amici, le comunità in cui ho svolto l’apostolato che mi hanno accompagnato con la loro preghiera e con la loro dedizione nel cammino di formazione. Auguro a tutti una buona settimana santa e in anticipo una gioiosa Pasqua. Grazie mille per la vostra preghiera e collaborazione. Una vocazione condivisa![]() Mi chiamo Éder Souza Gomes Cordeiro, sono brasiliano, vengo da sud del Brasile più precisamente dallo stato di Paraná e la mia città di provenienza si chiama Sertanópolis localizzata al nord dello stato confinante con lo stato di São Paulo. È una città agricola, con circa sedici mila abitanti. Vengo da una famiglia formata da sette persone, sono il più grande di cinque figli, tre maschi e due femmine, ho 36 anni, sono diacono da 5 mesi e aspetto ansiosamente alla mia futura missione che mi verrà comunicata a Marzo alla festa di san Giuseppe. In modo particolare la mia parrocchia di origine: Paróquia Santa Terezinha (Santa Teresa di Gesù Bambino) è legata con la storia del PIME in Brasile, è una delle prime parrocchie affidata all’Istituto intorno al 1950, pochi anni dopo dell’arrivo dei missionari del Pime in terra brasiliana. Posso dire che io sono un frutto dell’impegno e dell’amore missionario di tanti preti dell’Istituto che sono passati a Sertanópolis. Non posso dimenticare tre sacerdoti in particolare, p. Adriano Scorzato che mi ha catechizzato, p. Antonio Turra che è stato molti anni nella mia parrocchia, con cui ho avuto molto contatto, ed è stato l’ultimo sacerdote del PIME nella mia comunità, e infine p. Benedito Libano che è stato il mio primo animatore vocazionale, portandomi alla casa di animazione a Ibiporã dove si trova anche la casa di riposo per i nostri missionari, come la casa di Rancio di Lecco. Sono cresciuto in questo ambiente missionario, dove tutti i sacerdoti venivano dall’estero, e immaginavo che tutti i preti fossero stranieri e che per forza dovessero fare i missionari. Quando ero piccolo avevo sempre questa idea nella mia mente: prete uguale missione, e questo pensiero è sempre stato presente dentro di me, da piccolo a circa dieci anni di età, volevo diventare un sacerdote e missionario come loro. Crescendo, durante la mia giovinezza, tale idea nella infanzia mi è un può calata, ma non spenta, la “chiamata” al sacerdozio e alla vita missionaria è sempre stata presente, come una piccola fiamma nel cuore. Con l’età di 17 anni sono stato ammesso nel seminario Filosofico del PIME, nell’anno di 2004, rimanendo lì per due anni, e sono stati una grande scuola di vita, avendo come direttore spirituale il Vescovo attuale in Brasile nella diocesi di Santo Amaro a São Paulo, Mons. Giuseppe Negri, e come rettore della casa p. Aleandro Castrese, due uomini in cui ho potuto vedere l’esempio dell’amore alla missione e al sacerdozio. Ero troppo immaturo in quell’epoca, non avevo ancora chiaro cosa volevo veramente per il mio futuro e questo mi spaventava e alla fine dell’anno di 2005 a dicembre, concluso il primo anno di filosofia a Brusche, nello stato di Santa Catarina, ho fatto ritorno a casa, dove sono rimasto per 10 anni, per poi ritornare in seminario nell’anno 2015. Sulla mia vocazione in cui oggi esercito il diaconato e presto come sacerdote missionario, mi sento debitore verso questi missionari che sono passati nella mia vita come veri testimoni e hanno lasciato il segno di Cristo dentro il mio cuore. Non posso dimenticare la testimonianza di fede dei miei genitori, come esempio dell’amore di Dio a me e ai miei fratelli e sorelle fino oggi.
Dopo essere stato ammesso al seminario di Teologia di Monza e quindi dover lasciare il mio paese e la mia famiglia per 5 anni, i miei genitori mi hanno espresso quello che hanno sempre desiderato: hanno sempre sognato che uno dei loro figli diventasse religioso o religiosa, consacrato a Dio e alla Chiesa. Con questa esperienza sono convinto della importanza che c’è la presenza e la fede della famiglia per le vocazioni, la famiglia ha il suo posto fondamentale nel “sì” di ogni giovane che sente la chiamata alla vita consacrata. La famiglia diventa sostegno del candidato alla vita religiosa quando offrono con il cuore a Dio la loro preghiera per la vocazione e della realizzazione del figlio o della figlia. Oggi, a quattro mesi dalla fine del mio periodo di formazione in seminario Teologico e con l’avvicinarsi della partenza per la missione per tutta la vita, mi sento di ringraziare tutti quelli che hanno contributo alla mia formazione, alle parrocchie in cui ho svolto il mio apostolato in questi anni: Beata Vergine Assunta a Seggiano e Sant’Ambroggio a Cinisello, in cui mi sono sentito accolto e come a casa, sono debitore per l’esperienza di Chiesa in Italia, e grato anche per l’approfondimento nella fede. Per finire, il segno più bello è soprattutto condividere questa strada vocazionale. La formazione teologica del PIME ci offre una esperienza particolare, siamo una comunità che riunisce a sé ragazzi di vare nazionalità, promuovendo una esperienza culturale ricchissima che aiuta nella scelta di una vita missionaria, anche per l’aspetto della fede che viene arricchita quando siamo aperti ad accogliere il nuovo e il diverso. La cosa più bella è quando condividiamo questa strada vocazionale e i nostri sogni con qualcun altro, ed esprimo la mia gratitudine nell’avere come direttore spirituale p. Giuseppe Marchesi, dove mi ha sempre la sua semplicità mi è sempre stato d’ aiuto, dal Brasile nella formazione nel seminario filosofico, fino oggi nel seminario Teologico. Raccontare un può di me in queste poche righe mi fa comprendere quanto è importante riconoscere quanto sia ricca la nostra vita, riconosco che la mia vocazione non è stata mai solo mia, ma è una vocazione condivisa, partita dalla testimonianza familiare che mi hanno dato la fede, poi dai missionari che hanno testimoniato Cristo a casa mia, e soprattutto da ogni persona che con il loro sorriso o con il loro pianto e preghiere, sono state partecipi della mia vita. Sento che la mia vocazione non è solo mia, ma appartiene ad ogni compagno di strada in seminario e delle comunità in cui ho vissuto e condiviso la mia vita di seminarista e di cristiano. Éder Souza Gomes Cordeiro, Diacono La storia dell’incontro con Cristo Mi chiamo Santhosh Somireddypalli e vengo dall’India (diocesi di Kadapa). Mi piacerebbe condividere con voi la gioia della mia vocazione. La vocazione è una chiamata e una risposta: la storia dell’incontro con Cristo. In un momento particolare della vita, Gesù chiama ad uscire dal proprio progetto personale per assumere il suo progetto. Quando ero un ragazzo, mentre frequentavo la scuola sotto la guida di alcuni preti diocesani, vedevo il loro servizio, l’amore, la generosità, la dedizione e soprattutto il loro dare la vita per gli altri, e dentro di me cresceva la chiamata a vivere la loro stessa vocazione. Da qui, è nato in me il desiderio di diventare come loro, per testimoniare, con la mia vita, la vita di Gesù nel servizio degli altri. Quindi nel 2007 sono entrato nel seminario del PIME e, dopo una lunga formazione in India, nel 2016 sono venuto in Italia, a Monza, per lo studio della teologia. Oggi frequento il quarto anno di teologia, in vista del sacerdozio missionario nel PIME. “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, ma se muore, produce molto frutto”. È questo un brano che ben esprime il significato della mia vocazione. Il chicco di grano è innanzitutto Gesù stesso. Come il chicco di grano egli è caduto in terra, e attraverso i suoi insegnamenti, la sua passione, morte e risurrezione ha portato frutti abbondanti. Questa immagine del piccolo seme mi aiuta anche a capire me stesso e il senso della mia vita, che è quello di diventare come Gesù, vivendo nel servizio come Lui. E Gesù mi dona di potere vivere la vita in modo bello, facendomi capire e mettere in pratica l’amore di Dio soprattutto verso i più piccoli e i più bisognosi, nei quali il Signore si identifica. Nel villaggio da dove vengo, fino a nove anni fa non c’era ancora una Chiesa per pregare e celebrare l’Eucaristia, quindi riuscivo a partecipare alla Messa solo alla domenica nella chiesa principale e per arrivarci dovevo addirittura prendere una specie di taxi perché era lontana, e alla sera rientravo a casa tardi. Mi mancava quindi quella intima relazione con Gesù che possiamo vivere attraverso la comunione quotidiana con il suo Corpo. Ringrazio Dio perché oggi c’è una piccola cappella, dove vengono addirittura anche alcuni induisti per pregare insieme con noi. Qui in Seminario, ogni volta che partecipo all’Eucaristia quotidiana, sento che essa tocca la mia vita. La celebrazione eucaristica mi dona forza per vivere poi in comunione con gli altri, cercando il loro bene. Tutto questo mi dona gioia e consolazione per continuare il mio cammino verso Dio e verso il prossimo, mi dona la capacità di vivere insieme agli altri cosi come Gesù vive con tutti noi. Ho capito che il mistero di Dio non può essere scoperto nelle cose del “mondo”, ma solo in Gesù che soffre, muore e risorge. Nella persona di Gesù possiamo vedere tutta la bellezza e la purezza di vivere per gli altri: il suo amore per noi ci permette di fare tutto quello che Lui ha fatto, seguire tutto quello che Lui ha insegnato con la sua stessa vita. Infatti seguire Gesù Cristo significa farsi suoi discepoli, spogliando se stessi come Lui spogliò se stesso. Ringraziando Dio, il 26 Settembre scorso, sono stato ordinato diacono nel Duomo di Milano insieme con i miei compagni di classe. In quel giorno ho pronunciato il mio ‘SI’ dinanzi alla Chiesa che è madre e che ha riconosciuto in me, senza merito, i segni di una autentica vocazione al sacerdozio. Infine vorrei cogliere questa opportunità per ringraziare tutte le persone che mi hanno accompagnato nel mio cammino fin dall’inizio della mia formazione. Rimaniamo uniti nella preghiera, soprattutto in questo momento di pandemia. Affidiamoci al Signore Gesù Cristo, perché sia sempre in mezzo a noi, venga in nostro aiuto in questo tempo di sofferenza e così possiamo sperimentare ancora una volta il suo amore che guarisce.
Santhosh Somireddypalli Quarto Anno di Teologia Una testimonianza vera e bella della mia vita Sono Sravan Kumar Koya provengo da un villaggio si chiama Mall, Bheemanapalli, nella provincia di Nalgonda, India. Quest’anno è molto importante e definitivo nella mia vita. Vorrei presentarmi un po’ la mia vita di fede e il mio cammino nel PIME.
Partirò con la mia famiglia. Ho una sorella maggiore già sposata. I miei vivano una vita semplice e spirituale. Loro sono il primo esempio della fede per me e mi hanno fatto vedere il vero senso della vita, frequentano la chiesa nei momenti di preghiera e durante il rosario. Questo è un piccolo gesto per definire l’inizio della mia fede in Gesù. Quando avevo sette anni sono entrato nell’ostello e nella scuola cattolica dove ho studiato per otto anni. Direi che in questo tempo ho imparato tante cose, anzitutto la dimensione della preghiera, ogni giorno avevamo la messa, a volte pregavamo rosario o facevamo la condivisione della Parola di Dio. La dimensione della disciplina è forte in questa scuola. Guardando i preti diocesani e il loro servizio, ho avuto un grande desiderio di diventare prete e servire le persone nel bisogno. Però ho avuto un dubbio che quale vocazione devo scegliere? La vocazione di diocesano? O la vocazione di Missionario? In questa confusione, è arrivato p. Ravi Thanaiah del PIME e mi ha invitato ad partecipare di un campo del PIME. Ho fatto una settimana di campo con PIME e mi ha piaciuto tantissimo. Cosi sono entrato nel seminario del PIME ad Eluru. Quando sono entrato avevo quattordici anni. Primo anno ho imparato inglese per motivi di studio. Attraverso la testimonianza dei vari missionari che sono venuti a trovarci mi hanno fatto scoprire il vero senso del servizio ai poveri, cioè la vita missionaria con i poveri. Dopo orientazione sono andato a Hyderabad per due anni di Intermediate studies. Dopo mi hanno chiesto di fare l’università a Trichy (Tamil Nadu) e qui mi sono laureato in inglese. Dopo questi primi sei anni in seminario mi sono trovato contento in questo cammino di fede perciò ho scelto di andare avanti, per due anni ho studiato la filosofia e poi un anno la spiritualità dopo di che ho fatto un anno di esperienza coi bambini di strada a Benguluru. Quest’esperienza coi bambini era la mia prima esperienza missionaria e questa è stata a desiderare di gioire e così anche soffrire per i poveri. Dopo questi dieci anni in India mi hanno chiesto di andare in Italia per la Teologia. Prima della partenza per l’Italia ho fatto la promessa iniziale. Ora da quattro anni mi trovo in Italia. Per concludere la mia piccola testimonianza direi che in questi quattordici anni nella formazione sono rimasto proprio felice. Per me il vero servizio ai poveri parte dalle convinzioni personali. Sono convinto che questa vita voglio donare al Signore nel fare la sua volontà. Vi richiedo di pregare per me perché’ il 28 settembre mi ordinano come un diacono nel Duomo di Milano. Vi ringrazio davvero per questa opportunità ad esprimere il mio cammino di fede in questi quattordici anni nella formazione. |
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Novembre 2022
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