Dall’oratorio alla missione, passando attraverso grandi scelte e ottime motivazioni. Il racconto di Alessandro Canali e Alessandro Maraschi, i due seminaristi italiani del Pime che sabato 8 giugno verranno ordinati sacerdoti in duomo a Milano
Quando, alla Tuttinsieme del 2012, annunciarono ai giovani radunati al Santuario della Madonna del Bosco che sarebbero entrati entrambi in seminario, il sottoscritto era presente. Un coro di sospiri si è immediatamente levato dal pubblico femminile; il commento più sussurrato era: «Che spreco!» in tutte le sue varianti, la più azzeccata delle quali resta: «Il Signore si prende sempre i migliori». Il fatto è che – e penso di poterlo dire senza destare scandalo dato che è ben risaputo – i soggetti in questione sono due giovanotti di bella presenza, entrambi di 28 anni, entrambi di nome Alessandro, entrambi novelli padri del Pime, che saranno ordinati sacerdoti l’8 giugno nel Duomo di Milano dall’arcivescovo Mario Delpini insieme ai nuove preti dall”arcidiocesi (mentre nelle prossime settimane anche altri quattro nuovi missionari del PIME- tre indiani e un birmano- riceveranno l’ordinazione nelle loro comunità). Le ragazze avrebbero dovuto capire che la strada del matrimonio non faceva per loro due. Almeno per quanto riguarda Alessandro Canali, predisposto al sacerdozio anche solo per il fatto di essere nato e cresciuto a Valmadrera, paese in provincia di Lecco che ha dato i natali a molti e molto noti missionari del Pime. «La mia formazione di giovane all’interno della Chiesa è stata proprio un classico. Oratorio, educatore e poi altre esperienze, tra cui Giovani e Missione, che mi hanno fatto fare alcuni incontri significativi. Sono stati proprio questi a farmi scegliere di andare più in profondità per capire quale fosse il modo più bello di spendere la mia vita». Per Alessandro Maraschi, invece, l’ingresso in seminario non era così scontato. Originario di Rogoredo, periferia di Milano, lui in parrocchia non ci voleva andare. «È stato il mio parroco a ripescarmi e a insistere finché l’oratorio non è diventato la mia seconda casa. Il mio stile è sempre stato quello di collezionare belle esperienze e fare l’educatore rientrava nella categoria. Insieme al corso di teatro, all’atletica, alla fidanzata…». E poi? «Semplicemente, mi sono accorto che avevo tanti mattoncini, ma non avevo costruito nulla. Una specie di minestra di ingredienti buoni, ma messi insieme senza seguire una ricetta. Nulla era orientato verso qualcosa che avesse un nome, una vocazione. A metà dell’università mi sono reso conto che senza questo uno non può essere felice, così ho iniziato il cammino di discernimento del Pime e sono arrivato di fronte a una scelta inderogabile e profonda». Come funziona questa famosa “vocazione”? «Il problema è tutto nello spazio che diamo agli altri, uno spazio che per noi è pericoloso perché li dentro l’altro può anche farci del male. Solo che non possiamo non lasciarglielo, o ci chiudiamo in noi stessi condannandoci alla solitudine e all’infelicità. Arrivare, come è successo a me, al momento di dover dare questo spazio è una grazia. Mi sono trovato di fronte a questa sproporzione, in cui mi era chiesto di fidarmi e di aprirmi totalmente; la scelta per me era tra l’amare una donna nel matrimonio o il Signore nel sacerdozio. Puoi fare tante esperienze bellissime e avere tutto quello che vuoi, ma alla fine le domande sono sempre quelle: chi ami? Da chi ti senti amato? Arrivato a quel punto avevo chiaro che non si può essere amatoriali nell’amare, è una cosa che si può fare solo bene. Così ho deciso di fidarmi della relazione col Signore, che per me era diventata la più importante». Ma a questo punto sorge una domanda: perché proprio missionari? Lo spiega Alessandro Canali: «Durante il mio percorso di discernimento mi sono accorto che l’incontro con i missionari del Pime era diventato sempre più centrale, perciò da subito mi sono orientato verso il sacerdozio con il carisma del Pime nel cuore. Poi, durante il seminario, l’elemento della missionarietà è diventato sempre più importante. Mi ha colpito una frase del beato Vismara: “Fiorisci dove sei piantato”. Ho capito che la famiglia e gli amici sono un dono che mi è stato fatto perché io possa essere sradicato, ripiantato da un’altra parte e fiorire anche lì. E poi i racconti dei missionari, che fanno dell’incontro con il diverso il cardine della loro vita, mi hanno sempre ispirato». È il fascino dell’esotico che non lascia mai indifferenti. Proprio per questo chiedo a Canali un’ulteriore spiegazione. Non si può essere “trapiantati” anche senza essere missionari, incontrando l’altro e facendo del bene senza essere sacerdoti, semplicemente viaggiando? «Sì, ma questo esotismo è più un hobby. Il passaggio di qualità da passatempo a missione lo fa fare Gesù e nient’altro. Non potremmo costruire la nostra vita su un hobby, nessuno lo farebbe. Quello che ci spinge, invece, è l’esperienza di sentirci amati e inviati, un’esperienza fatta nelle relazioni con gli altri e nella preghiera. E quando approfondisci capisci che in questa relazione con Gesù puoi davvero investire, che in lui la tua vita ha davvero senso». Dei due “Alessandri”, solo uno verrà inviato subito in missione. Alessandro Canali rimarrà in Italia, inserito nella comunità del Pime di Milano, per lavorare nell’animazione missionaria con i giovani. «I prossimi anni saranno utilissimi per prendere le misure della mia nuova vita da sacerdote. Già in seminario ho capito che le relazioni sono la cosa più importante: ti mettono in gioco, ti aiutano a scoprire te stesso. Vivrò in relazione con tanti giovani e questa sarà un’occasione per crescere ancora. Ma l’opportunità più grande sarà quella di cominciare, sin da subito, ad essere ponte tra la Chiesa locale di Milano e le missioni». Alessandro Maraschi invece è atteso in Messico. Non sa ancora di preciso dove, ma gli hanno detto di iniziare a studiare il mixteco. «Per me la missione è ancora tutta desiderio e aspettativa», dice. «Sono contento di andare in un posto dove le persone sono accoglienti e dove c’è bisogno del Vangelo per combattere tanta violenza. Quello che mi auguro è di poterci stare a lungo, perché lì il Pime è piccolo e fragile. E spero di essere uno dei famosi “pochi ma buoni”». A entrambi gli “Alessandri” ho chiesto cosa ne pensassero del fatto che dopo di loro in seminario restano solo due italiani. «Questa è un’ansia che non ci appartiene», hanno risposto. «L’importante è che il Pime continui la sua opera con serietà e umanità. Certo che speriamo che entrino altri italiani, ma solo perché potremmo meglio condividere con loro la grandezza di questa esperienza. Per il resto, le vocazioni sono nelle mani dello Spirito: ci fidiamo di lui, che chiama da dove non ci si aspetta». testo dal Sito Mondo e Missione : https://www.mondoemissione.it/giugno-luglio-2019/dallitalia-per-il-mondo/?fbclid=IwAR3li9VoKNKtPrdyFuBsq6l2uT3zJm1TFHVv08cfI8DgPqzMlZA-MWnEFxw La nostra vita è come un libro, nel quale, ogni giorno, scriviamo delle pagine che ci aiutano a ricordare il passato, a vivere meglio il presente e a sognare il futuro. ![]() In questa prospettiva vorrei condividere, attraverso questo racconto, alcune pagine della mia vita. Se si dovesse fare un indice del mio libro, penso che fino a questo momento avrei scritto almeno tre capitoli. Dunque, mi chiamo Benedito Junior Lima de Medeiros, sono brasiliano, faccio il 1° anno di Teologia e da 2017 abito nel Seminario Teologico Internazionale a Monza. Nel primo capitolo racconterei la mia infanzia. Sono nato in Almeirim, un paesino nel cuore dell’Amazzonia, sopra una collina che ha ai suoi piedi il Rio degli Amazzoni. Vengo da una famiglia cattolica che partecipa attivamente della comunità attraverso i vari servizi pastorali. Con l’aiuto dei miei genitori e dei miei nonni ho imparato da bambino ad amare Dio e a vivere con gli altri. Pensavo già da piccolo di fare qualcosa che mi desse la possibilità di aiutare gli altri: diventare insegnante, o medico, oppure prete. Prima di finire le superiori ho condiviso con il prete del mio paese il desiderio di entrare nel seminario della diocesi, ma non avendo finito ancora gli studi mi ha chiesto di aspettare. In quel periodo, ho ricevuto l’invito di una zia per trasferirmi in città affinché avessi la possibilità di finire gli studi e prepararmi meglio all’università. E qui comincia il secondo capitolo del mio libro, dove cambia la prospettiva e il contesto. Mi sono trasferito a Santana, nello stato dell’Amapà, dove ho finito gli studi e ho frequentato l`università per diventare infermiere. Nell’università ho fatto varie esperienze: di assistenza sanitaria, ricerca e insegnamento attraverso vari progetti. Tra le esperienze che mi hanno molto aiutato nel mio cammino vocazionale ricordo le visite che facevo, con altri compagni, nei villaggi per portare medicine, fare delle conferenze di prevenzione di malattie ed esami sanitari. In quella realtà, ho visto che le persone avevano una carenza non soltanto di carattere sociale, ma anche religioso, perché il prete poteva visitare le comunità soltanto una volta all’anno causa la distanza. Alla fine del corso, oltre lavorare nell’assistenza sanitaria sono diventato professore dell’università svolgendo corsi di salute. Le varie attività di lavoro hanno ridotto la mia partecipazione attiva nella comunità e ho dovuto lasciare la catechesi, i gruppi dei giovani, le attività missionarie. Il lavoro occupava tutto il mio tempo e la mia vita. Nonostante mi piacesse l’idea di costituire una bella famiglia, avere un buon lavoro sapevo che questo non sarebbe stato il cammino che mi avrebbe fatto felice. Sentivo che qualcosa mi mancava. Dopo una lunga riflessione, aiutato da un amico, padre Brusadelli del PIME responsabile di una casa di accoglienza per gli anziani e malati a Santana, ho scoperto che Dio mi chiamava a diventare non soltanto sacerdote donando tuta la mia vita per amore, ma mi invitava a donarla senza misura diventando missionario fino agli estremi confini della terra. Bastava soltanto io mio Si, che non era facile dare perché implicava lasciare tutto quello che avevo costruito fino allora per andare in posti che non conoscevo, lasciare la famiglia per incontrare persone sconosciute. Mi mancava solo di fare un voto di fiducia in Dio, e nel missionario che mi diceva e dimostrava d’essere felice. Se nella mia regione esistono tante difficoltà di assistenza sociale e spirituale, p. Luigi Brusadelli mi ha fatto conoscere luoghi e situazioni , dove ci sono maggiori difficoltà e sofferenze. La lettura della rivista Mondo e Missão (Mondo e Missione brasiliano), attraverso il racconto delle vicende dei missionari del PIME sparsi nel mondo mi ha offerto una conoscenza ancor più approfondita di bisogni di molti nostri fratelli. Ho scoperto che anch’io ero in grado di aiutare e portare primo l’amore attraverso il messaggio del Vangelo, e che avendo l’amore per sé stesso e per gli altri, tutte le altre difficoltà sarebbero state risolte. Questo discernimento mi ha fatto vedere che la missione non è soltanto una questione di necessità, perché anche nella regione in cui vivevo ce n’erano, ma di solidarietà con chi ha maggior urgenza di bisogno. Il terzo capitolo della mia storia inizia col la decisione di entrare in seminario per diventare un prete missionario. Ancora una volta ho dovuto cambiare contesto e prospettiva di vita. Sono andato primo al sud dal Brasile, a Brusque, per compiere gli studi filosofici (2014), quindi in Italia per gli studi teologici, e qui mi trovo da due anni e mezzo. Qui ho avuto l’opportunità di fare un discernimento più approfondito dell’invito che Dio mi fa, non soltanto di essere sacerdote rendendo la mia vita disponibile alla Sua volontà e al servizio degli altri, ma di servire come missionario dove Lui vuole. Tante sono state le difficoltà nel mio cammino, dalla morte di mio fratello alla malattia della mia mamma, che mi hanno fatto ripensare varie volte la mia vocazione. Ma sempre con l’aiuto dei miei formatori, in particolare del mio padre Spirituale, alla fine ho costatato che tutto si risolve quando cerchiamo di essere felici e fare gli altri felici, e che la felicità la troviamo soltanto in Gesù, attraverso la sua vita e il suo messaggio che si riassume nell'amore. Nonostante le mie varie limitazioni, debolezze e difficoltà, chiedo sempre al Signore di aiutarmi a essere testimone del suo messaggio affinché io possa camminare con Lui e insieme a Lui continuare scrivere la mia storia, secondo il progetto originale di Dio. E per questo mi affido alla Grazia di Dio e alle vostre preghiere. La mia vocazione missionaria... ANNUNCIO IL VANGELO! Io mi chiamo Nathi Lobi , vengo dalla Thailandia , sono nato in un piccolo villaggio vicino a Mesuei nella provincia di Chiang Rai. Per farvi capire come è nata e cresciuta la mia fede è importante sapere che in Thailandia la religione cattolica è una minoranza i cattolici sono lo 0.98% della popolazione e la maggioranza dei tailandesi sono Buddisti. Come vi dicevo, Noi ( io e la mia famiglia ) abitiamo in un piccolo paesino lontano dalle grandi città ma soprattutto lontano dalla parrocchia, per arrivare alla chiesa dobbiamo percorrere circa 150 kilometri. Nonostante la lontananza sono sempre stato cattolico praticante e sono stato battezzato da piccolo, quello che mi ricordo più profondamente della mia infanzia sono i miei genitori che mi hanno trasmesso la fede, insegnandomi che ogni domenica dovevamo percorrere i 150 km per andare in Chiesa a pregare, (uso la parola pregare) perché in Thailandia oltre ai pochi cristiani ci sono anche pochissimi preti, il nostro “parroco” doveva occuparsi di ben 25 villaggi molto distanti tra di loro e ovviamente non poteva essere presente in tutte le comunità; quindi pochissime domeniche durante l’anno avevamo un sacerdote che celebrava con noi...il resto delle domeniche come succede in tante parti del mondo la comunità cristiana si ritrova per pregare insieme ..spesso guidati da laici usando la Parola, i Salmi e le semplici preghiere . Sono quindi cresciuto assorbendo e vivendo la fede dalla mia famiglia e dalla mia comunità; ma fino a 14 anni non ho mai partecipato al catechismo come lo intendiamo qui in Italia. Finita la scuola elementare, per frequentare le medie mi sono trasferito in città e sono andato a studiare in un centro missionario del PIME, là ho avuto l’opportunità di conoscere in modo più approfondito la mia religione e far crescere la mia fede, perché ci facevano catechismo ogni fine settimana, ed ero molto contento di questi momenti di formazione. Terminata la scuola media io e altri amici con un Padre che ci accompagnava abbiamo creato un piccolo gruppo di “annuncio”, per portare il catechismo nei villaggi, abbiamo cercato di portare agli altri quello che era mancato a noi da piccoli andavamo a insegnare ai giovani e ai bambini che vivevano lontano dalla chiesa. La gente è stata molto contenta di questa nostra attività. Due i momenti importanti nel mio cammino di Fede che mi hanno portato a entrare nel seminario del PIME: 1. Ho riconosciuto la mia vocazione cristiana attraverso il dono del battesimo. Per definirsi cristiano non basta sapere chi è Gesù ma imparare a conoscerlo e “vivere in Lui”, e questo non è facile; oltre ciò abbiamo un impegno da compiere cioè annunciare il Vangelo vivendo la vita in Cristo. Come sono arrivato a questa consapevolezza? Attraverso il catechismo, e come vi dicevo finito le elementari al mio villaggio mi sono trasferito in città in un centro del PIME dove ho avuto la fortuna di incontrare tanti padri tra cui il “parroco” del centro Corrado Ciceri. Là ho avuto finalmente l’opportunità di partecipare al catechismo, di fare tante attività per conoscere la mia fede , soprattutto la figura di Gesù che mi ha amato tanto, amato fino alla morte, morto sulla croce per me e per tutti noi, per tutti gli uomini! Questo è il Vangelo, questa è La Buona Notizia che noi cristiani abbiamo il compito di annunciare, non solo con le parole ma anche con la vita. 2.Vocazione missionaria nel PIME. Perché il PIME? Non lo so! Sentivo forte il bisogno di andare ad annunciare il Vangelo come i missionari che ho conosciuto e “vissuto” quando ero al centro missionario. Comunque prima di entrare nel PIME ho fatto tanti cammini diversi per il discernimento, con diverse comunità e congregazioni; l’ultimo discernimento l’ho fatto era con i Focolarini venendo in Italia per un periodo di esperienza. Alla fine ho deciso di entrare nel PIME , ma al mio primo colloquio, avevo detto al padre responsabile di non mandarmi nel seminario in Italia perché ritenevo troppo difficile la lingua, ma la risposta che ho ottenuto è stata “ITALIA”, perché era l’unico seminario rimasto per la teologia. Ho accettato e mi sono trasferito a Monza per la mia formazione e per il mio cammino come seminarista, adesso sono in terza teologia. E continuo il mio cammino di formazione partecipando alla vita della vostra comunità di Macherio. NATHI LOBI
Seminarista del 3° ano di Teologia e scusate l’italiano è “troppo” difficile….. La mia famiglia abita nel villaggio di Wangamarthy, Diocesi di Nalgonda, Telangana,India. I genitori si chiamano Raffael e Vittoria Rani. Questi genitori avevano quattro figli di cui due morti da piccoli a causa di una malattia. Adesso sono rimasti due figli. Il figlio maggiore si chiama Joseph, lui si è sposato con una ragazza di nome Anusha . I suoi vivevano una vita semplice e spirituale. I suoi erano il primo esempio della fede per lui e lo hanno fatto vedere il vero senso della fede, frequentavano la chiesa per la messa ogni mattina e i momenti di preghiera e rosario alla sera. Questo è un piccolo gesto per definire l’inizio della sua fede in Gesù. Anche sentì la storia di un missionario del PIME si chiamava Angelo Berlusconi che ha seminato la sua fede nel suo villaggio. Che ha stato per 28 anni e morì nel 1970 e sepolto nel suo villaggio in India. Nel suo villaggio solo 32 famiglie cristiani tutti gli altri sono religione: Hindu e Musulmani colpa di padre Angelo Berlusconi tra 32 famiglie sono diventati 6 preti e 8 suore. Ha frequentato la scuola elementare nel suo villaggio. E ha fatto la scuola media, in un Hostel , molto lontano da casa sua. Finita la scuola media, non sapeva cosa fare.
A quel punto ci fu una svolta. In quei giorni di confusione, suo nonno materno era malato. Quindi la sua famiglia si recò a trovarlo. Ad un certo punto il nonno chiamò i due fratelli e chiese loro di sedere uno a destra e l’altro alla sua sinistra e gli disse “io ho parlato con Gesù ieri notte e Gesù mi ha detto che morirò tra due giorni” e continuò dicendo che il suo nipote più piccolo sarebbe diventato un prete e successivamente vescovo. Esattamente dopo due giorni lui morì. Così il figlio piccolo cominciò a pensare al seminario e andò dal parroco per parlare del suo desiderio di entrare in seminario. Il parroco disse che era contento del desiderio del ragazzo di diventare prete. Un giorno questo parroco portò lui da un prete italiano che si chiamava si chiamava Luigi Pezzoni, un missionario del PIME. Lui era un dottore e aveva lavorato per più di 50 anni in India. Lì aveva costruito un ospedale per lebbrosi, scuole per i poveri e chiese per diverse comunità. Quando il ragazzo vide e conobbe questo lavoro sentì il desiderio di entrare nel PIME . Il parroco, allora, scrisse una lettera perché lui fosse accettato ad un campo di animazione vocazionale organizzato dal Pime. A questa esperienza presero parte quasi 120 ragazzi e, dopo una settimana di campo, tornò a casa sua. Lì con impazienza aspettava una lettera, la lettera con cui i superiori del Pime che l’avevano seguito durante il campo, avrebbero detto sì al suo desiderio di entrare in seminario. Dopo qualche settimana di attesa, finalmente la lettera arrivò. La missiva diceva che dal 16 giugno 2004 il seminario del PIME sarebbe stato la sua nuova casa, da dove avrebbe potuto cominciare una nuova vita. Il primo anno, imparò inglese e nei due anni successivi lui frequentò la scuola superiore. Poi l’università per tre anni e due anni di filosofia. Gli studi poi vennero interrotti e per un anno lavorò con i bambini di strada nella capitale del suo stato Hyderabad. Si alzava ogni giorno alle 6:00 al mattino, andava alla stazione e sulla strada, per cercare i bambini e portarli in una struttura gestita dai padri salesiani. Questi bambini erano denutriti e non avevano vestiti loro, per questo li portava dai salesiani dove potevano trovare accoglienza e un piatto di riso. Tanti di questi bambini, poi, avevano perso i genitori altri invece erano scappati da casa loro per qualche problema, altri semplicemente non volevano studiare. Ma nella casa dei salesiani questi potevano ricevere vestiti e l’ opportunità di andare a scuola o trovare lavoro a loro scelta. Quest’esperienza coi bambini era stata la sua prima esperienza missionaria e questa è stata a desiderare di gioire e così anche soffrire per i poveri. Fu così che il giovane lavorò con quasi 300 bambini dopo quell’ anno, inizio il suo ultimo anno di seminario in India, quello della spiritualità. Durante spiritualità fece anche un mese di esperienza con anziani, disabili e bambini speciali. Questa fu per lui un’altra bella esperienza che, insieme ad un periodo di due settimane vissuto in un monastero, contribuì a far crescere la sua vocazione. Alla fine di quell'anno fece anche la promessa iniziale nel PIME. Dopo questo importante momento arrivò in Italia per terminare il suo cammino con lo studio della teologia. Ora da quattro anni si trova in Italia. Per concludere la sua piccola testimonianza direi che in questi quindici anni nella formazione sono rimasti proprio felice. Per lui il vero servizio ai poveri parte dalle convinzioni personali. Sono convinto che questa vita vuole donare al Signore nel fare la sua volontà. Vi ringrazia davvero per questa opportunità ad esprimere il suo cammino di fede in questi quindici anni nella formazione. Questa è la storia di un ragazzo di nome Ranjith e io sono quel ragazzo che grazie alla parole di suo nonno ha detto il suo sì al Signore! Mi chiamo Pavan Kumar, lo stato da cui provengo si chiama Telangana, è nel sud dell’India. La mia parrocchia si chiama Bhimanapally ha 100 anni di storia e quasi 500 famiglie. I nostri primi parroci erano missionari del PIME. Padre Elia Casiraghi da Monticello Brianza ha lavorato nella mia parrocchia per quasi quaranta anni. Durante il suo ministero p. Elia ha seminato molto. I semi sono cresciuti e stanno dando frutti adesso: ci sono più di venti preti e tante suore. Tutti lo ricordano. Il nostro villaggio organizza tornei di cricket in suo nome e l’anno prossimo la nostra parrocchia celebrerà il giubileo dei cento anni. Maggior parte del nostro villaggio è composto di contadini che coltivano cotone. Anch’io sono nato in una famiglia contadina e cattolica. Sono nato nel 1988 da papà Innayya e mamma Teresa. Ho un fratello maggiore e una sorella minore. Sono nato e cresciuto nel mio villaggio.
Quando ero piccolo, non andavo alla messa con i miei ma preferivo stare con mia nonna e aiutarla perché lei mi dava zucchero e dolci se le davo una mano. Ero super attivo, camminavo senza sandali anche sulle spine, raccoglievo la colla dagli alberi, rubavo mais dai campi con i miei amici, uccidevo le rane e lucertole per divertimento fino quando mi sono fatto male a un dito. Tutto il mio villaggio mi conosceva perché dicevo tante parolacce, tutti i grandi avevano paura di parlare con me. Ma non sono mai stato a messa volentieri fino a sei anni. Un giorno quando avevo sei anni il mio parroco, mentre girava nel villaggio per chiamare i bambini al rosario, mi aveva visto. Mi ha chiesto di venire al rosario io gli risposi “se aiuto mia nonna, mi da lo zucchero e i dolci ma se vengo al rosario e alla messa cosa mi dai ?” lui ha risposto “ ti do delle caramelle” gli ho risposto “ va bene, poi vengo “. Quella sera andai quindi al rosario sperando che mi desse delle caramelle. Il mio parroco, però, non si presentò, e lo aspettai tanto che mi addormentai nella veranda della casa parrocchiale. I miei genitori non vedendomi tornare a casa, mi cercarono dappertutto e alla fine mi trovarono davanti alla chiesa addormentato. Da quel giorno ho cominciato ad andare alla messa e al rosario. Ho cominciato a leggere le letture e fare il chierichetto. Penso che da quel giorno fosse nato il desiderio in me di essere vicino alla chiesa e diventare un prete. Ho frequentato la scuola elementare nel mio villaggio dalle suore di Maria Bambina, e la scuola media in un ostello diocesano. Quando frequentavo la scuola media, ho conosciuto tante congregazioni religiose. E’ stato in quel periodo che ho deciso di diventare prete ma senza mai pensare alla vita missionaria. Sono entrato in seminario quando avevo 16 anni e non sapevo quasi nulla delle implicazioni della vita missionaria. Ho imparato inglese e ho continuato i miei studi nel seminario. Durante questi anni sono cambiato e ho anche smesso di dire le parolacce! È durante gli anni di università che ho sentito che la vita missionaria è difficile ma bella per me. I missionari venivano dalle missioni e condividevano le loro esperienze con noi. Queste condivisioni mi hanno aiutato tanto a capire la realtà delle missioni e mi sono convinto che questa è la mia vocazione. Da sempre ho voluto una vita avventurosa. Dopo aver fatto l’università, ho studiato filosofia, un anno di esperienza con i ragazzi e un anno di spiritualità dopo di che sono arrivato in Italia. Durante gli anni di formazione ho avuto anche alcuni momenti di difficoltà ma una frase dal vangelo di Matteo mi ha sempre guidato e continua a guidare tutte le mie azioni: cioè “GRATUITAMENTE AVETE RICEVUTO, GRATUITAMENTE DATE”. Mi sono convinto che ho ricevuto la mia vita gratuitamente da Dio e devo condividere la mia vita con gli altri gratuitamente. Sono contento di aver fatto questa scelta di vita. Adesso mi sto preparando per la missione che mi sta aspettando. |
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Novembre 2022
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