Nella lingua italiana, il termine “riconoscenza” è definito un “sentimento di gratitudine nei confronti di chi ci ha fatto del bene”. A volte questo sentimento non ha affatto, o ha poco spazio in noi: preferiamo chiedere. Certamente anche chiedere è importante, ma abbiamo il diritto di farlo soltanto dopo aver ringraziato per ciò che ci è stato dato in precedenza. Senza riconoscere ciò che abbiamo ricevuto rischiamo di chiedere in modo sbagliato.
Questo è vero anche nel Vangelo, che ci parla di riconoscenza. Luca scrive che, mentre andava verso Gerusalemme, attraversando la Samaria e la Galilea, Gesù entrò in un villaggio. A questo punto gli vennero incontro dieci lebbrosi che, fermandosi a distanza secondo le leggi della purità della loro fede, chiesero a Gesù di aver pietà di loro. Gesù, come era prescritto dalla Legge, li inviò dai sacerdoti, che dovevano appurare la guarigione avvenuta e riammetterli nella comunità. E, mentre essi andavano, furono purificati.
A questo punto, nonostante l’evidente miracolo, tutti sembra che tornino a casa propria, ad eccezione di uno di loro che, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, prostrandosi davanti a Gesù per ringraziarlo. Questi era un Samaritano, cioè un nemico, qualcuno che gli Ebrei odiavano. Eppure Gesù osserva: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E a questo uomo, e solo a lui, dice: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,11-19).
Tutti i dieci lebbrosi sono stati guariti, ma soltanto questo Samaritano che torna a ringraziare Gesù è salvato! Gli altri nove, pur essendo guariti dalla malattia, non sperimentano la salvezza. Che cosa vuol dire questo? Che si ringrazia perché salvati, ma si sperimenta la salvezza solo ringraziando. Non c’è infatti nulla di buono che non abbiamo ricevuto: «Che cosa possiedi – chiede Paolo ai Corinzi - che tu non abbia ricevuto?» (1 Cor 4,7).
La Festa della Riconoscenza che si celebra ogni anno in Seminario vuole proprio esprimere il nostro grazie al Signore Gesù e con lui anche a tutti coloro che aiutano questa comunità di giovani a prepararsi a diventare missionari. È importante farlo per riconoscere che tutto quello che abbiamo non è scontato, non ci è dovuto, ma, al contrario, ci è continuamente dato gratuitamente da Dio attraverso la collaborazione di tanti.
Esprimere dunque la nostra gratitudine nei loro confronti e ultimamente nei confronti di Dio, significa riconoscere che tutto ciò che abbiamo non è nostro: lo abbiamo ricevuto. Non lo possediamo, ma ci è affidato come responsabilità. Ultimamente è questa la ragione per ringraziare: perché, come i lebbrosi del Vangelo, possiamo anche noi sperimentare la salvezza.
Questo è vero anche nel Vangelo, che ci parla di riconoscenza. Luca scrive che, mentre andava verso Gerusalemme, attraversando la Samaria e la Galilea, Gesù entrò in un villaggio. A questo punto gli vennero incontro dieci lebbrosi che, fermandosi a distanza secondo le leggi della purità della loro fede, chiesero a Gesù di aver pietà di loro. Gesù, come era prescritto dalla Legge, li inviò dai sacerdoti, che dovevano appurare la guarigione avvenuta e riammetterli nella comunità. E, mentre essi andavano, furono purificati.
A questo punto, nonostante l’evidente miracolo, tutti sembra che tornino a casa propria, ad eccezione di uno di loro che, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, prostrandosi davanti a Gesù per ringraziarlo. Questi era un Samaritano, cioè un nemico, qualcuno che gli Ebrei odiavano. Eppure Gesù osserva: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E a questo uomo, e solo a lui, dice: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,11-19).
Tutti i dieci lebbrosi sono stati guariti, ma soltanto questo Samaritano che torna a ringraziare Gesù è salvato! Gli altri nove, pur essendo guariti dalla malattia, non sperimentano la salvezza. Che cosa vuol dire questo? Che si ringrazia perché salvati, ma si sperimenta la salvezza solo ringraziando. Non c’è infatti nulla di buono che non abbiamo ricevuto: «Che cosa possiedi – chiede Paolo ai Corinzi - che tu non abbia ricevuto?» (1 Cor 4,7).
La Festa della Riconoscenza che si celebra ogni anno in Seminario vuole proprio esprimere il nostro grazie al Signore Gesù e con lui anche a tutti coloro che aiutano questa comunità di giovani a prepararsi a diventare missionari. È importante farlo per riconoscere che tutto quello che abbiamo non è scontato, non ci è dovuto, ma, al contrario, ci è continuamente dato gratuitamente da Dio attraverso la collaborazione di tanti.
Esprimere dunque la nostra gratitudine nei loro confronti e ultimamente nei confronti di Dio, significa riconoscere che tutto ciò che abbiamo non è nostro: lo abbiamo ricevuto. Non lo possediamo, ma ci è affidato come responsabilità. Ultimamente è questa la ragione per ringraziare: perché, come i lebbrosi del Vangelo, possiamo anche noi sperimentare la salvezza.