Mi chiamo Alessandro Albani, ho 26 anni e sono nato e cresciuto a Carugate. A partire dal 10 settembre 2017 sono entrato a far parte del gruppo di seminaristi del PIME, seppur io non debba diventare prete in futuro. Ciò che mi accomuna ai miei compagni di seminario, infatti, non è la vocazione sacerdotale ma quella missionaria: dopo un percorso formativo studiato appositamente diventerò un missionario laico a vita, un fratello. La scelta di perseguire questa strada è stata dettata dalla mia storia personale, delle esperienze fatte nell’adolescenza e nella giovane età adulta, che mi hanno permesso di scoprire le mie due grandi vocazioni: quella professionale e, ovviamente, quella missionaria.
La mia famiglia è composta da mia madre Silvana, mio padre Giuseppe e mio fratello maggiore Daniele. Dai sei anni ho sempre frequentato l’oratorio della mia parrocchia e l’esperienza che, durante l’adolescenza, apprezzavo di più era l’oratorio feriale. Ricordo che la sera, quando tornavo a casa, mi assaliva un lieve senso di malinconia, perché la giornata era finita. Il prete coadiutore che c’era in quegli anni proponeva a noi animatori di saltare una settimana di oratorio feriale per andare a fare i volontari al centro estivo della fondazione Don Gnocchi, con i bambini disabili. Io non avevo mai partecipato per due ragioni: innanzitutto mi piaceva troppo stare in oratorio per rinunciare addirittura ad una settimana di feriale, inoltre, vera ragione per cui non avevo mai aderito alla proposta, la disabilità mi metteva a disagio perché non sapevo come comportarmi difronte ad una persona in questa condizione. L’ultimo anno come animatore, però, quel prete venne da me e mi disse: <<Ale, perché non sei mai andato in Don Gnocchi? Secondo me potrebbe farti bene.>>. A provocazione diretta non seppi dire no, così pensai di fare una prova e decidere dopo il primo giorno se andare avanti per una settimana o smettere immediatamente. La sera del primo giorno come volontario capii che tutti i problemi che avevo nei confronti della disabilità erano solo miei, che con le persone disabili ci si comporta normalmente, come con tutti, perché prima di essere disabili sono persone. L’ultimo giorno della settimana capii, invece, che avrei potuto fare quel lavoro per tutta la vita, così andai dalla responsabile del centro e le chiesi quale corso studiare in università per poter lavorare in una struttura simile. Lei mi diede diversi consigli e io scelsi il profilo professionale che mi si addiceva di più: quello del neuropsicomotricista.
Durante il mio percorso universitario continuai a frequentare l’oratorio, divenni anche catechista di un gruppo di ragazzi nati nel 2002 che ho seguito per nove anni. Nel 2014, mentre studiavo, Don Simone, il nuovo coadiutore dell’oratorio, propose ai giovani un viaggio alla scoperta della missione: saremmo andati a conoscere padre Valerio Sala, un missionario del PIME originario di Carugate e destinato nel nord della Thailandia. Io partecipai al viaggio nonostante partissi prevenuto, ancora una volta, nei confronti del mondo missionario. Prima di quella esperienza, infatti, pensavo: <<Io faccio già molto in oratorio come catechista ed educatore. Di tempo per fare altro non ne ho, alle missioni ci penserà qualcun altro>>.
Durante il viaggio facemmo una serie di incontri e vivemmo una serie di esperienze che, una volta tornato, continuavano a risuonarmi dentro. Andare in Thailandia, inoltre, aveva sfatato la mia idea di missionario come super-uomo: mi ero accorto che i missionari che avevo incontrato, uomini, donne, preti, suore e laici, avevano tutti dei pregi, ma anche dei difetti. Insomma, si trattava di persone comuni, proprio come me. Condivisi questi pensieri con la mia guida spirituale, lo stesso Don Simone, insieme al quale iniziammo a cercare un percorso in ambito missionario che rispondesse alle mie esigenze. Dopo poco più di un anno dal viaggio mi laureai e, incredibilmente, fui subito assunto proprio nel centro Don Gnocchi dove avevo fatto il volontario. Contemporaneamente all’inizio della mia brevissima carriera come neuropsicomotricista, Don Simone mi propose di fare un colloquio con padre Francesco, il rettore del seminario del PIME di Monza, il quale mi dirottò poi al padre spirituale Enrico. A lui spiegai tutta la mia storia vocazionale, precisando che sentivo una forte attrazione verso la missione, che non mi sentivo chiamato a diventare prete e che non volevo rinunciare al mio lavoro con i bambini disabili. Fu allora che padre Enrico mi presentò la figura del fratello: il missionario laico a vita che evangelizza senza predicare ma attraverso lo stile di vita. Capii immediatamente che si trattava della soluzione che più si adattava al mio caso, sembrava dipinta sulle mie esigenze (o forse sono le mie esigenze ad essere state cucite sulla figura del fratello?), la quale mi avrebbe permesso di coniugare le mie due vocazioni di cui ho accennato inizialmente: essere missionario e stare con i bambini disabili.
Spero che, grazie alla mia storia vocazionale, sia chiaro che per me diventare un missionario laico non è un ripiego ma una scelta fortemente voluta. L’idea di poter spendere la mia vita in missione testimoniando lo stile cristiano nella vicinanza ai disabili rende la mia motivazione forte in questo percorso formativo che, ad oggi, è solo all’inizio. Sono molto grato a Dio per tutte le finte coincidenze della mia vita che mi hanno portato ad essere dove sono oggi, in questa comunità internazionale che già mi fa respirare, almeno un po’, aria di missione.
La mia famiglia è composta da mia madre Silvana, mio padre Giuseppe e mio fratello maggiore Daniele. Dai sei anni ho sempre frequentato l’oratorio della mia parrocchia e l’esperienza che, durante l’adolescenza, apprezzavo di più era l’oratorio feriale. Ricordo che la sera, quando tornavo a casa, mi assaliva un lieve senso di malinconia, perché la giornata era finita. Il prete coadiutore che c’era in quegli anni proponeva a noi animatori di saltare una settimana di oratorio feriale per andare a fare i volontari al centro estivo della fondazione Don Gnocchi, con i bambini disabili. Io non avevo mai partecipato per due ragioni: innanzitutto mi piaceva troppo stare in oratorio per rinunciare addirittura ad una settimana di feriale, inoltre, vera ragione per cui non avevo mai aderito alla proposta, la disabilità mi metteva a disagio perché non sapevo come comportarmi difronte ad una persona in questa condizione. L’ultimo anno come animatore, però, quel prete venne da me e mi disse: <<Ale, perché non sei mai andato in Don Gnocchi? Secondo me potrebbe farti bene.>>. A provocazione diretta non seppi dire no, così pensai di fare una prova e decidere dopo il primo giorno se andare avanti per una settimana o smettere immediatamente. La sera del primo giorno come volontario capii che tutti i problemi che avevo nei confronti della disabilità erano solo miei, che con le persone disabili ci si comporta normalmente, come con tutti, perché prima di essere disabili sono persone. L’ultimo giorno della settimana capii, invece, che avrei potuto fare quel lavoro per tutta la vita, così andai dalla responsabile del centro e le chiesi quale corso studiare in università per poter lavorare in una struttura simile. Lei mi diede diversi consigli e io scelsi il profilo professionale che mi si addiceva di più: quello del neuropsicomotricista.
Durante il mio percorso universitario continuai a frequentare l’oratorio, divenni anche catechista di un gruppo di ragazzi nati nel 2002 che ho seguito per nove anni. Nel 2014, mentre studiavo, Don Simone, il nuovo coadiutore dell’oratorio, propose ai giovani un viaggio alla scoperta della missione: saremmo andati a conoscere padre Valerio Sala, un missionario del PIME originario di Carugate e destinato nel nord della Thailandia. Io partecipai al viaggio nonostante partissi prevenuto, ancora una volta, nei confronti del mondo missionario. Prima di quella esperienza, infatti, pensavo: <<Io faccio già molto in oratorio come catechista ed educatore. Di tempo per fare altro non ne ho, alle missioni ci penserà qualcun altro>>.
Durante il viaggio facemmo una serie di incontri e vivemmo una serie di esperienze che, una volta tornato, continuavano a risuonarmi dentro. Andare in Thailandia, inoltre, aveva sfatato la mia idea di missionario come super-uomo: mi ero accorto che i missionari che avevo incontrato, uomini, donne, preti, suore e laici, avevano tutti dei pregi, ma anche dei difetti. Insomma, si trattava di persone comuni, proprio come me. Condivisi questi pensieri con la mia guida spirituale, lo stesso Don Simone, insieme al quale iniziammo a cercare un percorso in ambito missionario che rispondesse alle mie esigenze. Dopo poco più di un anno dal viaggio mi laureai e, incredibilmente, fui subito assunto proprio nel centro Don Gnocchi dove avevo fatto il volontario. Contemporaneamente all’inizio della mia brevissima carriera come neuropsicomotricista, Don Simone mi propose di fare un colloquio con padre Francesco, il rettore del seminario del PIME di Monza, il quale mi dirottò poi al padre spirituale Enrico. A lui spiegai tutta la mia storia vocazionale, precisando che sentivo una forte attrazione verso la missione, che non mi sentivo chiamato a diventare prete e che non volevo rinunciare al mio lavoro con i bambini disabili. Fu allora che padre Enrico mi presentò la figura del fratello: il missionario laico a vita che evangelizza senza predicare ma attraverso lo stile di vita. Capii immediatamente che si trattava della soluzione che più si adattava al mio caso, sembrava dipinta sulle mie esigenze (o forse sono le mie esigenze ad essere state cucite sulla figura del fratello?), la quale mi avrebbe permesso di coniugare le mie due vocazioni di cui ho accennato inizialmente: essere missionario e stare con i bambini disabili.
Spero che, grazie alla mia storia vocazionale, sia chiaro che per me diventare un missionario laico non è un ripiego ma una scelta fortemente voluta. L’idea di poter spendere la mia vita in missione testimoniando lo stile cristiano nella vicinanza ai disabili rende la mia motivazione forte in questo percorso formativo che, ad oggi, è solo all’inizio. Sono molto grato a Dio per tutte le finte coincidenze della mia vita che mi hanno portato ad essere dove sono oggi, in questa comunità internazionale che già mi fa respirare, almeno un po’, aria di missione.