Anche Gesù ha scelto e accettato di morire; parecchie volte avevano tentato di ucciderlo e lui è fuggito. Gesù ha scelto e accettato di diventare uno di noi, ha scelto di condividere la nostra vita, la vita di tutti, portando su di sé tutto il bene e tutto il male insieme, portando ogni situazione di difficoltà come ognuno di noi la porta. Una delle esperienze della nostra vita, comune a tutti, è la morte; tutti moriamo, nessuno escluso, e Gesù è venuto nel mondo sperimentando la cosa comune a tutta l’umanità: la morte. È morto per stare insieme con noi, per condividere con noi tutto, per condividere con noi la fine, per condividere con noi l’inizio, per condividere con noi la vita; quando uno condivide la vita di un altro in tutto e per tutto, vuol dire che lo ama.
La vita è un dono di Dio e ci è stato fatto questo dono al di là della nostra volontà di viverla o di rinunciarvi, oppure di viverla solo per noi stessi, e un dono viene dato perché gli altri lo abbiano; un dono è sempre utilità per gli altri. Noi vogliamo vivere ad ogni costo e ogni gesto ha come motore questo desiderio; vivere, anche se desideriamo morire perché non siamo contenti di questa vita e speriamo che quell'altra sia migliore; non lo sappiamo, forse sarà uguale.
La vita invece ci è stata data per uno scambio di amore, in cui ognuno rinuncia a pensare solamente a sé, questo è l'amore: ognuno rinuncia a pensare a se stesso per consentire all'altro di conservare la propria vita, meglio della mia. La vita è il risultato di uno scambio d'amore, di fatto vivere significa accettare la morte del proprio io, la morte del proprio slancio istintivo, la morte di conservare se stessi. Smettendo di ripiegarsi su noi stessi possiamo entrare nell'universo “spirituale" e dico una parola terribile per noi, nel mondo spirituale della gratuità: perché vivi? Gratis, perché lavori? Gratis, e subito pensiamo ai soldi, gratis il lavoro anche se pagato; è alla gratuità che Dio cerca di condurci e chi vi entra può entrare in una vita che non finirà più, già da adesso entra dentro la vita eterna, nella misura in cui vive la gratuità. Credo non sia facile abbandonarsi alla gratuità prendendola come elemento che giustifica la nostra relazione tra di noi, con Dio e con l'universo che ci circonda ma tutto quello che non è fatto gratuitamente, non è relazione, è interesse. La rovina della fede, della società e della famiglia, come della coppia, è fare le cose per un interesse: "Che cosa me ne viene in tasca?", sulla prestazione volontaria, sul sesso vissuto con un interesse, ecc… guadagnandomelo e avendone diritto è normale, ma non la una capacità di aumentare l'amore; allora devo fare tutto gratuitamente? Se vuoi, se vuoi assaporare questa novità di un'esperienza creativa l'interesse non va messo al di sopra del bene comune e ogni dono che facciamo, come ogni dono che riceviamo, va nascosto; ma non abbiamo detto di darlo agli altri? Sì, va dato, ma senza che l'altro se ne accorga, in modo da recepirlo come se fosse nato dentro di lui.
Il racconto della partenza di Abramo: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,1), è un'esperienza fondamentale per tutti; in un tempo in cui non c'era l'idea di un'altra vita, Dio l'ha instillata in Abramo in questo modo: vai in un altro mondo, in un'altra terra, vai altrove, cerca e quando sarai arrivato in quella terra che io ti ho dato e preparato, ci vivrai come straniero. Attraverso questa morte di sé, Abramo può ritrovare in un modo nuovo la sua vita.
L’indicazione della vita buona è quella in cui noi ci spendiamo senza essere attirati dal guadagno, soprattutto se mettiamo insieme quello che di buono ci può avvenire e quello che di male è successo nella nostra vita; lasciamoli coesistere, e sarà possibile il sentirsi non glorificati ma in un cammino che non conosciamo bene, come Abramo, che non sappiamo bene dove ci porterà.