Nel mondo intorno a noi, tutto sembra buio. Guerre, catastrofi naturali, la ricerca sfrenata del potere e dell’avere, le ingiustizie di ogni genere lacerano gli uomini oggi come ieri: la violenza è quotidiana, si vive alla giornata aspettando come un condannato il giorno della nostra sentenza per gridare: "finalmente!" Dove è, quindi, la speranza? Andare a vivere su un altro pianeta? Dove si trova? Trovare qualcuno che ci concede finalmente di capirci, di amarci, di condividere un pasto con tutti, di parlare con gli stranieri come a un fratello? Qualcuno che ci offre finalmente la chiara percezione di scapare a un mondo in cui ci sentiamo respinti da quegli stessi meccanismi che abbiamo creato, ma che a volte si rivelano disumani nell’ambito economico, politico, socio-culturale? Ma esiste ancora un cielo puro e sereno? L'Avvento non è forse far finta di attendere il Cristo che è già venuto, con il rischio di confrontarsi in fondo con lo scandalo di una venuta, apparentemente, poco significativa per la storia umana? Che cosa è realmente cambiato? C'è forse un’utopia nella speranza cristiana? In altre parole, l'Avvento ha ancora senso per la nostra umanità ferita e decaduta?
Comunque, è dal profondo dei secoli che perviene il messaggio di speranza. Ed è questo appello che è stato avviato, in un tempo di dubbi e di crisi, dal profeta Isaia che, secoli prima di Cristo, fu il testimone amaro della decadenza spirituale del suo popolo. E’ ancora questo stesso appello che ritorna di nuovo dal fondo della miseria oscura dell'uomo, nel cuore di un popolo apparentemente condannato a scomparire e che attraversa il corso della storia in lacrime e sangue.
Bisognerebbe parlare di una utopia? Di un sogno impossibile? No! affermano gli evangelisti. Il sogno può diventare vera fonte di gioia. I cristiani non sono persone deluse che sognano una realtà che non si realizzerà mai. Anzi, scommettono sulla possibilità che il bene trovi significato nella storia. La prova di questo atteggiamento è anche il tempo di Avvento che ci viene dato ogni anno di rivivere. Avvento è infatti celebrare una venuta nella storia, che l’ha davvero modificata fino a dividerla in un "prima" e un "dopo". Ci troviamo nel dopo Cristo e questo fatto, per chi crede, non è solo un riferimento tra tanti altri per contare gli anni; è la memoria viva di un evento che contiene il senso, svela una presenza che trasforma la nostra: non è un'illusione, ma una speranza confermata. "La nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino "(Rm 13,11).
D’Avvento in Avvento, siamo chiamati, non a scoraggiarci del tempo che passa, lasciando apparentemente tutto come, o peggio di prima. L'invito è quello di credere nel venire progressivo della salvezza, che la pace, la giustizia, la fraternità… sono messi nel seno della storia una volta per tutte dal Verbo che si è fatto carne. Per questo è necessario rimanere svegli: "Vegliate, perché non sapete quando il Signore verrà" (Mt 24,42). Ci aspettiamo che la salvezza portata da Cristo nella sua prima venuta maturi in pienezza, che Egli pervenga alla sua seconda venuta per portare il nuovo mondo, già inaugurato, al suo compimento. Basti che ci apriamo finalmente a Gesù. In Lui si compiono, misteriosamente, ma in profondità, le promesse di Dio, quelle cui credette il suo popolo un tempo e di cui dobbiamo essere oggi testimoni fedeli.
Preghiamo, quindi, con la Chiesa: " Verrà di nuovo nello splendore della sua gloria e ci chiamerà a possedere il regno promesso che osiamo sperare ora, pronti nell’attesa" (1 Prefazione di Avvento). Tra la prima e la seconda venuta, ci siamo noi, la parte della storia che ci è data di vivere, il tempo che intercorre tra il "già" e il "non ancora". In modo silenzioso, ma sicuro, sta maturando il nuovo mondo. La nostra speranza non sarà, per cui, vana, ma feconda