Racconto di una mattina senza foto con Sebastiao Salgado
di Alessandro Maraschi
Il mio sogno di godermi un’intima mattinata ad ascoltare il fotografo brasiliano Sebastiao Salgado, mentre mi gusto le fotografie della nuova mostra: “Kuwait. Un deserto in fiamme”, si infrange in un secondo.
Una folla considerevole riempie la galleria stile liberty. È un pubblico intergenerazionale e rimango sul marciapiede, in mezzo ai tanti giovani presenti. Riesco ad avanzare all’interno della galleria fino ad un punto da cui si gode una discreta vista e penso che io, come gran parte dei convenuti, non siamo lì per caso. Siamo nel cuore della mattina di un uggioso giorno feriale, se siamo lì, è perché abbiamo scelto di esserci. Arriva Sebastiao Salgado. Calmo e sorridente, prende posto dietro ad un piccolo tavolo nell’anfiteatro improvvisato stile liberty.
Insieme a lui e al curatore della mostra, è presente anche Mike Miller, il capo dei vigili del fuoco della squadra che fu incaricata di spegnere i 732 pozzi di petrolio che furono dati alle fiamme in Kuwait nel 1991. È un uomo canadese sulla sessantina, maglietta a maniche corte, due grandi baffi a incorniciare le labbra e quando sorride, gli occhi diventano due fessure. Pur nel suo aspetto gioviale e sereno, non usa mezze parole quando definisce la situazione in cui si trovò a lavorare, come il più grande disastro ecologico nella storia compiuto da mano umana. Ci vollero due anni di lavoro per spegnere e mettere in sicurezza tutti i pozzi.
Siamo immersi in racconti di storie che si intrecciano con eventi della storia. Salgado non ha ancora aperto bocca e nessuno dei presenti ha ancora visto alcuna foto, ma accade quella che si può definire una caratteristica ricorrente generata in chi si ferma davanti alle sue opere: le sue foto aprono a racconti di vita.
Quando comincia a parlare l’impressione è quella di essere in mezzo a persone che si conoscono da tempo. Salgado chiama per nome gli amici italiani che ha conosciuto durante i suoi anni passati in giro per il mondo a fotografare o come afferma, non a “fare foto, ma a ricevere foto” dalla realtà. Racconta di luci, ombre e composizioni, di momenti cruciali nella sua vita, delle sue grandi domande sull’uomo e lo fa spesso attraverso un incontro, una situazione della storia in cui si è trovato a vivere.
La presentazione della mostra diventa occasione per conoscere sotto un’altra prospettiva un uomo, solitamente a suo agio nel comunicare attraverso la fotografia. Le sue parole, come le fotografie, lasciano trasparire lo stile di chi si lascia insegnare dalla realtà che lo circonda. Curioso, rimane in ascolto degli uomini per lo più, ma anche della natura e degli animali. Lo sguardo delle sue foto entra in profondità, così come le sue parole toccano corde profonde e in chi guarda o, come in questo caso, ascolta genera la ricerca di confronto. Vien voglia di dialogare, di sapere di più degli uomini immortalati, la storia del fotografo dietro alla fotografia. Vien voglia di domandare se ciò che suscita, è qualcosa di condiviso.
Io, ad esempio, davanti alle sue foto, sono facilitato a pregare. Mi capita quando incontro uomini che aprono brecce sul senso profondo della realtà e lo fanno senza semplificazioni o tentativi di convincimento. Salgado mi attrae senza condurmi semplicemente a sé, mi attrae perché riconosco qualcosa che appartiene a tutti ed è più grande del singolo uomo. Questa esperienza è ciò che chiamo esperienza di Dio, e così dico a me stesso che è questo il motivo che mi apre alla preghiera.
Mi guardo intorno e osservando la folla radunata una domanda mi preme: cosa provano tutti i giovani, gli adulti, gli anziani che mi sono accanto oggi in questo uggioso venerdì di fine Ottobre? E cosa prova Salgado?
La presentazione termina. Si forma la coda per guardare la mostra. Passo attraverso la folla composta, incamminandomi verso la bicicletta. Mentre salto in sella disperdendomi tra il traffico di Milano, penso che non ho visto alcuna foto, in compenso mi è venuta una gran voglia di parlare di questo uomo che parla attraverso la pellicola fotografica. Mi è venuta una gran voglia di ascoltare cosa altri ne pensano della sua fotografia, perché ho come la sensazione che si finisce sempre con l’arricchirsi quando si comincia a dialogare grazie a qualcuno a cui davvero importa degli esseri umani.
Forma Meravigli – via Meravigli, 5 Milano
dal 20 0ttobre al 28 gennaio 2018
Tutti i giorni dalle 11 alle 20
Giovedì dalle 12 alle 22
Lunedì e martedì chiuso
Ingresso intero: 8 euro
Ridotto: 6 euro