“ogni mattina mi sveglio e accendo il cellulare, poco dopo il pc. Piccoli gesti mattutini che fanno iniziare la mia giornata e la mia connessione con il mondo”, mi confidava un amico. Apparirà banale, ma oggi se non si possiede un cellulare si è quasi tagliati dal mondo; così come una connessione a Internet, con annessi un account email, un profilo facebook, twiter, skype o qualsiasi altra possibilità di utilizzo dei social network. Siamo protesi verso il futuro ogni giorno e grazie a queste cose, la nostra vita è diventata più semplice e veloce, ma anche più vincolata: la rete digitale ci sfida. Siamo anche legati a questo perenne essere pronti a rispondere alla email o al messaggio che arriva su whats’up, così come il desiderio di condividere, nell’enorme piazza digitale, ciò che facciamo e siamo. Molti si lamentano perché questa iperconnettività ha generato un lassismo nelle relazioni sociali, una vera rivoluzione antropologica, ma ormai non si può tornare indietro ed evitare questo progresso. Anzi, progredisce nostro malgrado. E il primo rischio è proprio quello di essere fagocitati dal desiderio di rimanere in costante connessione, con gli abitanti del Web. Ciò potrebbe apparire sgradevole a molti, ma in realtà non si decide di esserci o non esserci in questo mondo. Quindi bisogna solo trovare il modo per viverlo. Ma come?
Il messaggio di Benedetto XVI per la 47a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali muove dalla giusta consapevolezza che “l’ambiente digitale non è un mondo parallelo o puramente virtuale, ma è parte della realtà quotidiana di molte persone”. Lo spazio digitale è dunque uno spazio di esperienza reale che, come cristiani, non possiamo tralasciare, o peggio, ignorare. Non è il buco nero in cui l’umano rischia lo svilimento della sua natura. Anzi, è una nuova “casa dell’uomo”, in cui siamo chiamati ad entrare e vivere come “testimoni digitali” di Cristo. Perché è uno dei tanti luoghi dove possiamo incontrare l’altro. Proprio l’importanza dell’incontro, il coinvolgimento interattivo con le domande di senso di tutti gli uomini ci invitano a riflettere. Il web non è solo da “usare”, ma da “abitare” poiché lì si incontra l’uomo. Ciò significa saper cogliere la dimensione educativa che questo abitare comporta. Per fare ciò a tutti noi è richiesta “la capacità di utilizzare i nuovi linguaggi digitali non tanto per essere al passo con i tempi, ma per permettere all’infinita ricchezza del Vangelo di trovare nuove forme di espressione che siano in grado di raggiungere le menti e i cuori di tutti.” Ribadisce Benedetto XVI. Poiché solo il coinvolgimento autentico e interattivo con le domande e i dubbi di coloro che sono lontani dalla fede ci fa sentire la necessità di alimentare con la preghiera e la riflessione la nostra fede nella presenza di Dio come pure la nostra carità operosa.
Inoltre, Benedetto XVI invita ad “utilizzare i linguaggi digitali senza smarrire la nostra autenticità, senza svendere ciò in cui crediamo. Tenere la porta aperta evitando l’autoreferenzialità”. È un’occasione che non possiamo perdere, perché è proprio del cristiano il dovere di essere presenti nelle piazze pubbliche e nelle periferie, in dialogo con tutti, senza pregiudizi e senza presunzione; per pensare e costruire insieme ciò che è bene comune, arricchiti da competenze e conoscenze condivise e dalla ricerca di verità e di senso che accompagna l’esistenza di ciascuno di noi. C’è insomma una responsabilità diretta, immediata del nostro agire digitale. Imparando a navigare sulle onde digitali, bisogna crearsi i propri fari di riferimento, cioè, bisogna imparare a gestire questo desiderio di connettività perenne, semplicemente sapendo come e quando rispondere ai molti stimoli, senza temere di sentirsi tagliati fuori, se non attiviamo la chat di facebook o non condividiamo in continuazione foto e video. Non dobbiamo aver paura di sentici più soli soltanto perché non connessi, anzi, ritagliandoci spazi di silenzio, possiamo ricaricare le batterie e saper cosa dire all’altro. Anche perché, quello che conta nella connettività perenne non è tanto il “dire” a tutti i costi, ma soprattutto cosa dire e come dirlo!