Lungo la storia la dimensione materiale e commerciale del Natale, vendere e dare regali, ha preso il posto di quella spirituale cioè la dimensione del dono e del Ricevere. Il riferimento religioso, essenziale è quasi scomparso. L’atteggiamento del dare ha reso l’uomo protagonista del Natale al posto di Dio. Il protagonismo dell’uomo esprime in fondo il suo desiderio di onnipotenza.
Il ricevere esprime il dono ineffabile di Dio per la nostra umanità, la sua iniziativa di avere a che fare con la storia umana. Il segno di questo desiderio di comunione con l’uomo ha il nome di una persona, Gesù Cristo. È Gesù che viene regalato gratis all’umanità. All’uomo, di fronte a tale dono, non viene chiesto nient’altro se non di aprire il suo cuore per riceverLo, accoglierLo, o meglio ancora, ospitarLo. Il grande rischio che corriamo è quello di dare (che è cosa buona) i nostri beni alle persone senza però accoglierli. Natale ricordiamoci è sapienza nascosta nell’ospitalità! Credo dovremmo, con urgenza, tornare a riconquistare questo senso puro, originale, evangelico del Natale che si va perdendo.
Ma in che cosa consiste l’ospitalità? L’ospitalità come ci ricorda Henri Nouwen è “una virtù che permette di superare la ristrettezza dei timori personali aprendo la casa agli estranei, con l’intuizione che la salvezza ci giunge sotto l’aspetto di un viandante stanco” (H. Nouwen, IL GUARITORE FERITO, Il ministero nella società contemporanea, Queriniana, Brescia 2007, p. 82)». Oggi ancora Dio continua a visitarci sotto le spoglie di un viandante estraneo e smarrito. Ma chi lo può riconoscere? Gesù è quell’ Ospite inatteso che da sempre attendiamo nella nostra storia e nei nostri cuori. La sua venuta ha addirittura determinato il riferimento temporale della storia (A.C e D.C) e trasforma la vita di chi in Lui pone la sua fiducia. Gesù però è anche l’Ospite-Bimbo che nasce nella povertà di una stalla!
Il Dio che ospitiamo in occasione del Natale ha di certo il volto di un Bimbo, Gesù! Ma ha anche quello di qualsiasi uomo, soprattutto quello dell’uomo contemporaneo ferito dalle vari crisi: solitudine, malattie, esclusione, indifferenza... L’ospitalità ha la virtù di addestrare chi accoglie a dimenticarsi un attimo per prestare attenzione all’altro, a lasciare da parte le proprie preoccupazioni quotidiane: paure, stress di lavoro, tensioni familiari e comunitarie, noie, egoismo, aggressività...per guardare l’altro negli occhi. L’ospitalità in effetti, ci invita a dimenticare il nostro io per soddisfare le attese dello sconosciuto desideroso di affetti. L’incontro con l’altro innesta la possibilità di una vera conoscenza di sé. Dall’amicizia con lui veniamo a conoscenza delle nostre qualità che non sapevamo di possedere. L’altro ci rivela i nostri limiti che spesso si nascondono dietro le quinte della nostra carità programmata e stereotipata. L’ospitalità è in definitiva, dare spazio all’altro perché entri e trasformi la nostra vita e la nostra fede proprio come la presenza di un neonato cambia la vita dei genitori. In questo senso l’altro diventa componente essenziale “nella costruzione della propria felicità”. Raoul Follereau dice a questo proposito: “vergognati se sei felice da solo!”. Natale ci trasforma se accogliamo l’altro così com’è senza condizioni.
Inoltre, ricevere l’altro significa lasciare che egli sia un protagonista della nostra vita come quando ci si apre alla fede in Gesù Cristo. Il protagonista della nostra vita diventa Lui e non noi. San Paolo lo dice chiaramente quando scrive: “Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”(Gal 2,20). Questo, però ci richiede un esercizio non facile: morire quotidianamente a noi stessi come ci insegna il Vangelo.
L’ultimo pensiero sul Natale riguarda la scelta di povertà voluta da Dio (Lc 2, 1-19). I vangeli ci raccontano che Gesù nasce mentre Maria e Giuseppe si trovano fuori dalla Galilea: a Betlemme. Gesù poi viene deposto in una mangiatoia degli animali. Betlemme come sappiamo non aveva per Israele l’importanza che ha ad esempio Hollywood o New York per gli Stati Uniti. Il colmo viene poi espresso nella notizia della sua nascita che viene per prima consegnata a dei pastori, uomini che nella società ebraica di allora rappresentavano la categoria socialmente più vicina agli animali.
Questo dice quanto Natale è follia!! Dio si è annoverato tra i poveri e umili perché essi sanno contare su di Lui: l’unico loro baluardo e ricchezza. La semplicità di cuore nonché la povertà materiale aiutano ad avvicinarsi a Dio e a decidersi per lui. San Francesco l’ha testimoniato con la sua vita. Non si è abbandonato al dare per dare senza amore ma ha cominciato ad abbracciare e baciare il lebbroso che poi gli cambiò la vita. Questo è ospitalità!
Alla follia di un amore così smisurato quale l’Amore di Dio per l’umanità deve corrispondere una risposta da parte dell’uomo, semplice e libera, capace di stupire e smorzare ogni egoismo.
Siamo ancora capaci di riconoscere e rispondere fedelmente a quest’amore inesprimibile che Dio in Gesù ha riversato sull’umanità e nei nostri cuori? Sappiamo ancora aprirci ed accogliere questo Ospite interiore che a volte per mancanza d’amore, confessiamo di non attendere? Perché questo Natale abbia il sapore della vicinanza di Dio all’umanità, prepariamo nei nostri cuori la culla per una vera accoglienza dell’altro che si declina nel rispetto della sua dignità di uomo e donna amati da Dio, nel riconoscimento dei suoi diritti, valori e ricchezze culturali e interiori. Ogni volta che sarà pronta questa culla, sarà sempre Natale per noi!
Buon Natale!
Constant Kouadio