l Pime avrà presto un nuovo beato. E sarà il quarto dei diciannove martiri dell’istituto a salire alla gloria degli altari. Papa Francesco ha infatti autorizzato la promulgazione del decreto che riconosce il martirio di padre Alfredo Cremonesi, missionario del Pime1, ucciso nel 1953 in Birmania (oggi Myanmar). La diocesi di Crema, la Chiesa locale di cui era originario, ha già annunciato che la beatificazione si terrà nell’ottobre 2019, durante il mese missionario straordinario voluto da papa Francesco. Nella famiglia dei santi e dei beati del Pime, andrà ad affiancarsi a sant'Alberico Crescitelli e ai beati Giovanni Battista Mazzucconi, Paolo Manna, Clemente Vismara e Mario Vergara.
Quella di padre Alfredo Cremonesi è un'altra storia di santità che vede intrecciarsi le vicende del Pime con quelle della Chiesa del Myanmar. Il nuovo futuro beato era nato il 15 maggio 1902 a Ripalta Guerina (Cremona). Affetto fin da giovane da gravi problemi di salute affidò a santa Teresa del Bambino Gesù la sua vocazione alla vita missionaria. Ordinato sacerdote il 12 ottobre 1924 l’anno successivo partì in nave da Genova con destinazione la Birmania, dove resterà per tutta la vita.
Nella diocesi di Taungoo gli fu affidato Donoku, un villaggio sperduto tra i monti, da dove partiva per le sue spedizioni tra villaggi pagani e cattolici. «Vi dico il vero – scriveva – molte volte mi sono sorpreso a piangere come un bambino, al pensiero di tanto bene da fare e alla mia assoluta miseria, che mi immobilizza, e non una volta sola, schiacciato sotto il peso dello scoraggiamento, ho chiesto al Signore che era meglio mi facesse morire piuttosto che essere un operaio così forzatamente inattivo». Eppure, proprio nel suo rapporto d’intimità profonda con Dio, trovava la forza per andare avanti.
Nel 1941, in piena Seconda guerra mondiale, gli inglesi internarono i missionari nei campi di concentramento in India, eccetto i sei «anziani» presenti da più di dieci anni. Tra questi c’era padre Cremonesi, che rimase tra la sua gente ancora più solo e privo di ogni cosa. Dopo l’8 settembre 1943 fu poi la volta delle violenze e delle umiliazioni da parte dei soldati giapponesi: «Fummo derubati di tutto – ricordava -. Non ci avanzò neppure una gallina».